L’ABC del cambio automatico: quello classico con convertitore di coppia

Tecnologia
21 giugno 2016

L’approfondimento sui cambi automatici continua con un'analisi del sistema più tradizionale, quello a convertitore di coppia e rotismi epicicloidali.

Il concetto di cambio automatico per automobile è nato intorno agli Anni 50 negli Stati Uniti, dove venne subito apprezzata l’idea di dover azionare solamente due pedali (gas e freno) e di potersi dimenticare della leva del cambio. I primi sistemi di trasmissione automatica vennero progettati con rotismi epicicloidali azionati meccanicamente e idraulicamente, a cui venne affiancato il convertitore di coppia per sostituire la tradizionale frizione del cambio manuale. È proprio quest’ultimo componente a dare il nome alla tipologia più classica di cambio automatico. 

IL CONVERTITORE DI COPPIA

Il meccanismo appena citato consente di trasferire la coppia del motore al cambio (guarda il video qui sopra). Si tratta di un componente idraulico che sfrutta la combinazione di una pompa e di una turbina, entrambe composte da una girante radiale, in cui scorre un fluido poco viscoso. Il motore è collegato alla girante conduttrice che trasmette il moto al fluido; l’energia posseduta dall’olio, poi, alimenta la turbina che a sua volta la trasmette al cambio. Tra turbina e pompa, inoltre, è presente uno statore, montato su una ruota libera che consente la rotazione in un solo senso: quest’ultimo devia il flusso dell’olio in modo da incrementare la coppia tra ingresso e uscita (diminuendo ovviamente la velocità di rotazione per la conservazione della potenza). Basse coppie e alti regimi di rotazione si trasformano in coppie più alte a velocità inferiori. Questo incremento aumenta con la differenza di velocità tra le due giranti: l’effetto è quindi massimo nelle fasi di spunto. Se le velocità sono simili, invece, il convertitore di coppia si comporta come un giunto idraulico. Quando il motore gira al minimo, la pompa idraulica fornisce una coppia troppo bassa per trasmettere un movimento alla seconda girante: ciò permette all’auto di stare ferma o muoversi solo leggermente quando non si azione il pedale dell’acceleratore – a volte basta una piccola pressione sul comando del freno per non partire, ndr. L’azione del fluido, poi, garantisce partenze da fermo molto dolci.

MIGLIORIE

I primi convertitori di coppia, proprio per l’intrinseca natura del funzionamento idraulico, erano caratterizzati da slittamenti e perdite evidenti, soprattutto alle alte velocità: parte dell’energia viene dispersa durante la trasmissione del moto tra le due giranti, a discapito dei consumi e delle prestazioni. Per ovviare a questo problema, sui cambi automatici più moderni è presente una frizione che, quando attivata, connette rigidamente le due giranti (azione di “lock-up”), evitando gli slittamenti a velocità costante. Un altro problema riguarda le fasi di motore spento: in queste situazioni manca l’effetto di bloccaggio dato dalla “marcia inserita” di un tradizionale cambio manuale, visto che motore e cambio sono disconnessi se il fluido del convertitore non si muove. È per questo motivo che sulle auto moderne è presente la funzione “parking”, indicata con la lettera P, che blocca la trasmissione in caso di sosta prolungata. 

IL CAMBIO MARCIA

Una volta che la coppia del motore giunge alla seconda girante, essa viene trasferita al cambio, costituito da rotismi epicicloidali (planetari). Con questo termine si intende un organo di trasmissione formato da un ingranaggio centrale di entrata, chiamato pignone o sole, due o più satelliti intermedi connessi insieme tramite un portasatelliti (il planetario) e un anello esterno con dentatura interna, detto corona. La peculiarità di questo sistema è la possibilità di scegliere di bloccare in modo alterno il sole, la corona o il planetario, così da ottenere diversi rapporti di riduzione (due positivi e uno negativo, cioè con rotazione invertita adatta per la retro). Il cambio, quindi, è composto da diversi gruppi di rotismi epicicloidali, che possono essere bloccati tramite appositi freni, e da diverse frizioni multidisco che eventualmente collegano tra loro i diversi elementi. Il tutto è comandato da un evoluto impianto elettronico/idraulico che regola l’apertura o la chiusura di questi elementi. Con le diverse combinazioni di bloccaggi e connessioni è possibile ottenere un alto numero di rapporti di trasmissione (fino a dieci, come il nuovo Hydra-Matic a 10 marce che verrà introdotto sulla Chevrolet Camaro ZL1). Il rapporto da inserire viene scelto in autonomia dalla centralina quando la leva del cambio è in posizione “D-Drive”, oppure è stabilito dal conducente – sempre, però, con la supervisione del cervello elettronico – se impostato sulla modalità sequenziale, tramite palette sul volante o movimenti sul pomello (+ e -). 

PRO E CONTRO

Grazie al convertitore di coppia e alla presenza dei rotismi epicicloidali, questa tipologia di cambio automatico è molto fluida nelle fasi di partenza e di innesto dei rapporti, a beneficio del comfort di marcia (in questo ambito è meglio di un doppia frizione, ma è leggermente più lento). Trattandosi di una tecnologia sviluppata da molti anni, inoltre, il cambio a convertitore ha raggiunto un funzionamento quasi impeccabile, anche nelle logiche elettroniche di controllo e risposta dei comandi del guidatore. Di contro, stiamo parlando di un sistema molto complesso a livello di tecnica e componentistica: la conseguenza principale è l’aumento cospicuo sia del prezzo iniziale, sia di un eventuale costo di riparazione. Per questo motivo, questo tipo di cambio automatico viene giustificato principalmente su automobili di un certo livello (per quanto riguarda prezzo e prestazioni). In particolare, il cambio automatico ben si accoppia con i grossi motori Diesel moderni, che sono ricchi di coppia da “tenere a bada”: grosse berline, station wagon e SUV sono le dirette interessate. Con questo cambio, poi, solitamente si registra un leggero aumento dei consumi rispetto alla versione manuale, un fenomeno limitato nei cambi di ultima generazione.

L'ABC DEL CAMBIO AUTOMATICO: LE ALTRE PUNTATE

Introduzione
Cambio a doppia frizione (DCT, “Dual Clutch Transmission”) 
Cambio robotizzato (o elettroattuato)
Cambio a variazione continua (CVT, “Continuously Variable Transmission”)
Cambio manuale assistito elettronicamente



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Ritratto di UnAltroFiattaro
21 giugno 2016 - 23:37
Solo a me questi due video non sono chiari?! Ammetto però che li ho sentiti senza audio...
Ritratto di UnAltroFiattaro
21 giugno 2016 - 23:38
ops: visti senza audio...
Ritratto di gamby
22 giugno 2016 - 09:40
avendo piccole nozioni sulla meccanica con fatica ho capito, ma sottotitoli no ? il convertitore di coppia è molto simile al giunto vulcan-tosi delle unità navali, invece per quanto riguarda il cambio (sul quale non ho esperienza) il cambio di rapporto viene effettuato in base alla sincronizzazione delle varie velocità tra i satelliti e rotori, spero di esserti d'aiuto

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