TUTTO COMINCIÒ NEL DOPOGUERRA - Il metano ha iniziato a essere usato, in maniera significativa, come carburante a partire dalla fine degli anni 40. L’Italia, paese non ricco di risorse energetiche, non era nuova alla ricerca di alternative ai carburanti da base petrolifera: celebre, durante la Seconda Guerra Mondiale, il gassogeno Ferraguti, un voluminoso impianto in cui la combustione controllata del legno produceva un “gas povero” che, impiegato al posto della benzina, decurtava drasticamente le prestazioni dei propulsori, ma consentiva all’Italia poter continuare a circolare a costi accettabili. A guerra finita, da quell’esperienza sono nati i primi impianti di alimentazione bi-fuel, utilizzanti Gpl o metano, entrambi di costo inferiore alla benzina. All’epoca, il metano era immagazzinato ad alta pressione, allo stato gassoso, in grosse e pesanti bombole d’acciaio, generalmente sistemate sul tetto dell’auto. Questo gas, così com’era utilizzato allora (e fino a non molti anni fa), ha sempre fatto pagare il suo minor costo rispetto alla benzina con una sensibile riduzione delle prestazioni. Inoltre, le operazioni di rifornimento, con gli impianti di allora, richiedeva circa mezz’ora.
LA “RIVOLUZIONE ARGENTINA” - Le cose sono andate avanti così fino all’inizio degli anni 90, quando a Buenos Aires si tenne un convegno mondiale sulla metanizzazione a cui parteciparono delegati di tutti i principali paesi automobilistici (Stati Uniti inclusi). Fu un vero “terremoto culturale”, perché sancì un nuovo ruolo per il metano: quello di carburante ecologico ottimale. Fu proprio a seguito di quel convegno che nacquero impianti di rifornimento molto più moderni e più rapidi (pochi minuti al massimo), ma anche equipaggiamenti più moderni, come le bombole in alluminio, molto più leggere e rinforzate da uno strato esterno di fibra di vetro per essere omologate fino ai 300 bar della pressione di rifornimento. Ma, soprattutto, il nuovo atteggiamento rispetto al metano diede il via a una più approfondita ricerca ingegneristica mirata allo sviluppo di sistemi di alimentazione hi-tech, interfacciabili con quelli d’iniezione elettronica di benzina. Sullo slancio delle oggettive qualità ecologiche del metano, in tutto il mondo furono avviati programmi di potenziamento della rete di stazioni di rifornimento: in Italia, la Snam (l’azienda di stato che gestisce le forniture nazionali di metano) varò un piano per arrivare a predisporre almeno un migliaio di stazioni di servizio ben distribuite su tutto il territorio nazionale.
PROBLEMI DI DISTRIBUZIONE - A oggi, tuttavia, in Europa la rete di distribuzione è ancora diffusa “a macchia di leopardo”, con nazioni più avanti e altre ancora in retroguardia: questo continua a limitare l’impiego del metano ai tradizionali sistemi di alimentazione bi-fuel, senza una vera possibilità di dare vita a propulsori concepiti per essere alimentati esclusivamente con questo carburante, che non ha solo meriti ecologici. Sul piano delle prestazioni, l’avvento di versioni benzina-metano di propulsori turbocompressi ha messo la parola fine allo storico problema del decadimento delle prestazioni che penalizzava tutti i propulsori aspirati, in ragione sia della bassa densità del metano gassoso, sia del suo volume: che, espandendosi nel collettore di aspirazione a causa dell’elevata volatilità del gas, di fatto finiva per “rubare” spazio all’aria aspirata, con l’effetto pratico di ridurre la cilindrata del propulsore. Con la sovralimentazione, questo non accade più. Ma si potrebbe andare ben oltre. Il metano, infatti, è in teoria il carburante perfetto per il motore a ciclo Otto. È il primo dei composti del carbonio della cosiddetta “serie aciclica” che, convenzionalmente, viene chiamata anche “serie del metano”. È disponibile in natura in enormi quantitativi, sia in associazione con il petrolio nel sottosuolo, sia in sacche di solo gas. Inoltre, gli specialisti americani hanno messo a punto un metodo di estrazione del metano intrappolato nella struttura amorfa delle cosiddette rocce bituminose: ciò ha resi accessibili grandi giacimenti metaniferi che hanno consentito agli Usa, in precedenza importatori di metano, di diventare a loro volta esportatori. Con l’accesso ai depositi di metano intrappolati nelle rocce bituminose (terreni ricchi di minerali di questo genere sono stati individuati anche sul territorio italiano), la disponibilità di questo idrocarburo dovrebbe garantire al mondo energia sostanzialmente pulita per ben oltre 100 anni, aprendo quindi prospettive interessanti anche per l’evoluzione del settore motoristico.
UN IDROCARBURO “PULITO” - La molecola del metano è composta da un atomo di carbonio e quattro di idrogeno: la formula è CH4. Già la struttura della molecola ci dice che, dal punto di vista dell’impatto ambientale, la combustione del metano genera meno anidride carbonica (CO2) di qualsiasi altro idrocarburo. Inoltre, il metano è molto volatile e leggero: una volta introdotto nel cilindro, si miscela perfettamente con l’aria dando luogo a una combustione rapida e completa, senza produzione di monossido di carbonio (CO) né di idrocarburi (HC) incombusti, ma solo degli inevitabili biossido di carbonio (CO2) e ossidi di azoto (NOx). Questo rende molto più facile il compito del sistema catalitico di scarico, prolungandone inoltre la vita operativa grazie anche alla totale assenza di impurità a base sulfurea, presenti invece nella benzina e nel gasolio per autotrazione. Sul piano dell’evoluzione dei propulsori a ciclo Otto, il metano apre prospettive positive non solo dal punto di vista ecologico, ma anche da quello prestazionale. Infatti, il metano vanta un tenore ottanico ineguagliato da qualsiasi altro carburante, benzina “avio” inclusa, in quanto raggiunge un valore RON (meglio conosciuto come numero d’ottano) di ben 130. Questo significa che, se la distribuzione del metano presso i punti di rifornimento automobilistici fosse realmente diffusa e capillare, l’industria dell’auto potrebbe dedicarsi allo sviluppo di motori a ciclo Otto ad altissimo rapporto di compressione: motori in grado di sfruttare questa caratteristica (così favorevole all’innalzamento delle prestazioni e all’efficienza termodinamica) per fornire rapporti consumo/prestazioni analoghi a quelli dei moderni turbodiesel. Già oggi, la prima fase dell’operazione (l’incremento delle prestazioni degli attuali motori turbo con alimentazione bi-fuel) sarebbe agevolmente a portata delle attuali tecnologie.
GRAZIE, TURBO - Premesso che un propulsore con alimentazione bi-fuel deve avere un rapporto di compressione calibrato sulle caratteristiche del carburante più “povero”, è ovvio che, nel caso dell’abbinata metano-benzina, è la seconda il fattore limitante. Ma, in motori bi-fuel sovralimentati mediante turbocompressore a gas di scarico, sarebbe possibile realizzare una prima fase evolutiva, sviluppando software che, pilotando la valvola wastegate dei turbo, potrebbero variare la pressione di sovralimentazione in base al carburante utilizzato, incrementandola quando il motore fosse alimentato a metano. Questa modulazione della pressione di sovralimentazione non basterebbe da sola a modificare l’efficienza termodinamica del propulsore (correlata a vari parametri, fra cui il rapporto di compressione geometrico, ma non alla pressione a cui la combustione avviene all’interno del cilindro), ma certamente permetterebbe di sfruttare il superiore tenore ottanico del metano per ottenere dallo stesso propulsore prestazioni ancora più elevate, senza rischio di detonazione. Ma, nel caso di motori dedicati alla pura alimentazione a metano, sarebbe proprio il rapporto di compressione a poter essere elevato a valori nettamente superiori agli attuali in ragione di quell’eccezionale tenore ottanico di 130 RON. Con camere di combustione di disegno debitamente sviluppato, sarebbe possibile realizzare motori aspirati operanti con rapporti di compressione di almeno 15:1, e motori sovralimentati da oltre 13:1, valori assolutamente non accessibili con l’alimentazione a benzina. Per sfruttare al meglio il potenziale del metano in questo senso, la soluzione ottimale sarebbe rappresentata da un sistema d’alimentazione a iniezione diretta di metano liquido, che consentirebbe rapporti di compressione da moderno turbodiesel e quindi livelli del tutto analoghi di efficienza termodinamica, ma con un potenziale prestazionale nettamente superiore. I problemi criogenici non sarebbero insormontabili (il metano viaggia già allo stato liquido sulle navi metaniere), e noi disporremmo di motori molto brillanti e molto puliti.
E CON L’IDROGENO… - Che il metano possa convivere con rapporti di compressione da turbodiesel è già oggi dimostrato dai motori dei cosiddetti autobus ecologici, i cui grossi turbodiesel sono alimentati a metano gassoso la cui combustione (visto che con i suoi 130 RON non potrebbe mai arrivare all’autoaccensione) viene innescata da una fiamma pilota generata da una piccola iniezione di gasolio. Fino a oggi, il potenziale del metano in autotrazione è solo “assaggiato”. Alcuni anni fa, i tecnici del Centro Ricerche FIAT di Orbassano svilupparono un progetto relativo all’impiego di una miscela di idrogeno e metano per l’alimentazione dei motori a ciclo Otto: idea razionale, perché l’elevatissimo tenore ottanico del metano può abbondantemente andare a compensare quello, molto basso, dell’idrogeno, permettendo di ottenere agevolmente miscele da 95 RON la cui combustione, grazie alla percentuale di idrogeno contenuta, produrrebbero ancora meno CO2 di quella del metano puro.