DIESELGATE MA NON SOLTANTO - In Nordamerica si stanno delineando le conseguenze più capillari e articolate dello scandalo Dieselgate. Dopo i vari interventi delle autorità e le cause collettive a proposito delle auto “truccate” del gruppo Volkswagen, è ora la volta delle conseguenze indirette della vicenda, come le accuse di cartello da parte delle autorità tedesche a Volkswagen, Audi, Porsche, Mercedes e BMW (qui la news). Nei giorni scorsi è infatti diventato pubblico che l’ente tedesco per la concorrenza sta indagando contro le case citate appunto per sospetti di attività di cartello. Come scritto dalla stampa, i temi su cui le case accusate avrebbero cercato intese illegittime sono diversi, ma il più vistoso è quello delle modalità con cui far superare alle rispettive auto i test di omologazione per quanto concerne le emissioni delle auto diesel.
750 MILIONI DI DANNI - Diffusa la notizia, prontamente al di là dell’Atlantico la vicenda ha trovato uno sviluppo: lo studio legale canadese Strosberg Sasso Sutts ha avviato una class action contro Volkswagen, Audi, Porsche, Mercedes e BMW chiedendo un risarcimento danni di un 1,1 miliardi di dollari canadesi (circa 750 milioni di euro). A occuparsi della causa sarà uno specialista di lunga esperienza nell’attività antitrust. Si tratta infatti dell’ex procuratore David Wingfield che ha diretto la divisione antitrust del ministero di Giustizia canadese tra il 2011 e il 2014. Nel documento che apre la procedura di class action Wingfield ha scritto che le case costruttrici tedesche hanno “cospirato per condizionare i prezzi, la produzione, lo sviluppo tecnico e gli standard tecnici delle componenti impiegati negli autoveicoli da essi prodotti e venduti in Canada”.
INTANTO VOLKSWAGEN MINIMIZZA - Questo avviene mentre in Germania la vicenda pare voler essere gestita in modo da farla apparire una vicenda di routine. Al termine di una riunione del consiglio di sorveglianza della Volkswagen svoltasi mercoledì scorso a Wolfsburg, la società ha emesso un comunicato in cui afferma che “lo scambio di informazioni tecniche è molto normale per le case costruttrici di tutto il mondo; ciò al fine di accelerare e regolare lo sviluppo delle innovazioni”. Stephan Weil, primo ministro del Land della Bassa Sassonia, detentore del 20% delle azioni del gruppo Volkswagen (con diritto di veto) e in quanto tale membro del Consiglio di sorveglianza della società, ha dichiarato che negli incontri tra le case automobilistiche “la questione essenziale è sapere che cosa è legale e che cosa è invece collusione contro la concorrenza”.
ACCUSE CONVINTE - Per David Wingfield però non ci sono dubbi. In una dichiarazione fornita telefonicamente ha affermato che “quando si agisce nel rispetto della legge non si nasconde ciò che si sta cercando di fare. Ciò mentre a quanto risulta dai documenti citati dalla stampa (il settimanale tedesco der Spiegel) le case in questione avrebbero più volte sottolineato che ciò che stavano facendo avrebbe potuto risultare illegale. Wingfield ha ammesso che non c’è niente di illegale nella standardizzazione industriale, “ma se la Apple e la Samsung si mettessero d’accordo per standardizzare la produzione per i prossimi dieci anni con microchip di livello inferiore, ciò sarebbe un’attività di cartello. Ed è ciò che sembra sia successo nella vicenda delle case automobilistiche tedesche”. Secondo lo stesso Wingfield, la class action promossa è la prima di questo tipo nel Nordamerica, “ma probabilmente non sarà l’ultima”.