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Fiat: in Cina e USA non perde tempo

28 giugno 2012

Inaugurata la fabbrica e la linea di produzione della nuova berlina Viaggio che sarà in vendita entro fine anno in Cina. Secondo le indiscrezioni, settimana prossima la Fiat potrebbe aumentare il suo azionariato in Chrysler, salendo al 61,8%.

IN VENDITA ENTRO FINE ANNO - Alla presenza di Sergio Marchionne (nella foto in alto al centro), amministratore delegato della Fiat, e delle alte cariche del gruppo torinese e della GAC (Guangzhou Automobile Group Corporation), il costruttore con il quale la Fiat ha creato la joint-venture per produrre auto in Cina, è stato oggi inaugurato lo stabilimento GAC Fiat di Changsha, nella provincia cinese di Hunan, e dato l'avvio alla produzione della nuova berlina Viaggio: sarà in vendita entro la fine dell'anno attraverso una rete vendita composta da 91 concessionarie e 125 autosaloni. La Fiat ha investito circa 650 milioni di euro nella fabbrica che ha una capacità di 140.000 auto l'anno che potranno diventare 250.000 in un secondo momento.

Fiat viaggio rossa 02

 

SPECIFICA PER LA CINA - Lunga 468 cm, larga 185 e con un passo di 271 cm (la distanza tra le ruote anteriori e posteriori), la Fiat Viaggio sarà commercializzata con il 1.4 a quattro cilindri turbo T-Jet declinato in due livelli di potenza, 120 e 150 CV, abbinato al cambio manuale a cinque marce o al robotizzato a doppia frizione e sei rapporti.


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Un'immagine della cerimonia d'inugurazione dello stabilimento GAC Fiat di Changsha.


OBIETTIVO AMBIZIOSO - Grazie alla nuova berlina, che affiancherà la 500 e la crossover Freemont, la Fiat punta a vendere in Cina 300.000 auto l'anno entro il 2014. Uno degli ultimi costruttori ad investire pesantemente nel paese asiatico, la Fiat l'anno scorso ha venduto poco meno di 1.500 vetture, grazie anche all'importazione della 500 e della Bravo. Ricordiamo che la Fiat è presente in Cina dal 1986 con la produzione dei veicoli commerciali Iveco e dal 2001 con i mezzi da lavoro Case New Holland. Nel 1999 ha creato una joint venture con la Nanjing Auto, poi interrotta nel 2007, e nel 2008 una collaborazione con la Chery Automobile, per la produzione della Fiat Linea e la fornitura di motori: entrambe con scarsi successi.


Fiat viaggio rossa
La nuova Fiat Viaggio.
 

AUMENTA LA QUOTA IN CHRYSLER - Se il gruppo Fiat in Europa decide di “tagliare” a 500 milioni di euro il budget per il 2012 (leggi qui per saperne di più), sul fronte americano le cose vanno diversamente. Stando a quanto riportato dall'autorevole Wall Street Journal, il gruppo torinese dovrebbe aumentare il proprio azionariato in Chrysler (dal 58,5% al 61,8%) già la settimana prossima, acquistando una parte della quota detenuta dalla Veba, il fondo pensione affiliato con l'UAW (United Auto Workers), il maggiore sindacato americano del settore auto. Le voci confermerebbero le indiscrezioni trapelate a metà mese, secondo le quali la Fiat avrebbe inviato una lettera formale per esercitare l'opzione che le permette di acquistare entro il 2016 una quota massima del 3,3% ogni sei mesi del pacchetto azionario in mano alla Veba: oggi detiene il 41,5% della Chrysler. 



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Ritratto di Anonimo
Anonimo (non verificato)
28 giugno 2012 - 13:20
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Ritratto di ForzaPisa
28 giugno 2012 - 13:22
Proprio bella la Viaggio! Speriamo venda tanto, così la Fiat avrà soldi "freschi" per tornare a investire in Italia (magari con modelli particolari/sportivi/sfiziosi, finanziati dai guadagni derivanti dai modelli "di massa" prodotti in Cina e Usa)
Ritratto di MatteFonta92
28 giugno 2012 - 13:24
3
La Fiat ha proprio bisogno di darsi una mossa in Cina... come dice l'articolo è stata una delle ultime case ad investire nel mercato asiatico, e adesso sta cercando di recuperare terreno. E intanto ha lasciato per strada gli operai di Termini Imerese. Lo so che è una cosa che fanno tutti (pure la Toyota), ma continua a non andarmi giù, nonstante sappia che qui da noi il mercato sia ormai saturo.
Ritratto di Porsche
28 giugno 2012 - 13:32
Praticamente non esiste !!!!
Ritratto di Gipo
29 giugno 2012 - 11:55
...con i dazi che hanno, o sei un marchio premium (e quindi con margini tali da poterli assorbire), o ti proponi a prezzi tali da non riuscire proprio a vendere. Peccato che mentre loro ti obbligano a produrre lì, e noi ad obbedire come cagnolini, poi facciano quello che vogliono sui mercati mondiali. Marchionne è eterodiretto, nella migliore delle ipotesi, oppure ha autonomamente perso capacità di autocritica e di autocoscienza, al punto tale da giudicare il nostro paese "particolare" e con leggi sul lavoro "folkloristiche" (sue recenti dichiarazioni alla stampa). Spero che siano "ingenuità" d'un sessantenne e nulla più. Altrimenti, andasse a visitare una delle innumerevoli Export Processing Zones dove vengono prodotti componenti meccanici e non (Foxconn docet), o addirittura automobili finite, per relativizzare e contestualizzare il concetto di "particolarità" e di "folklorismo". O l'uomo si anima di sani principi, anche patriottici, perché no, oppure per me ha la stessa nazionalità d'un 'ndranghetista, d'un camorrista, d'un mafioso; la nazionalità delle zecche, delle piattole, dei parassiti, per loro stessa natura apolidi, piaga di tutto il mondo, come certe sciagure genetiche. Non si riferisse più al tricolore allora, non lo usasse più sui "suoi" prodotti, non pronunciasse più nemmeno la parola Italia; non ne è minimamente degno. Trattasi d'un cancro purulento da estirpare (che non appartiene a nessun tessuto nazionale specifico) e d'un vertice da sostituire (sorge il serio dubbio che non sia la persona giusta e che altri possa fare, ed avrebbe potuto fare, meglio).
Ritratto di Montreal70
29 giugno 2012 - 11:56
Gipo, credo sia luminare a riguardo un'opinione a metà strada tra i due poli. Riporto un'articolo di ieri: «Il Tribunale ha il dovere di imporre l’assunzione dei 145 operai sgraditi all’impresa ma l’impresa ha tutto il diritto di licenziare tutti e 2.145 operai e aprire la stessa fabbrica in Croazia o in Romania». Il ragionamento giuridico, economico e politico sviluppato da Gianni Pardo sul sito il Legno Storto in merito alla riassunzione dei operai Fiom imposta dalla magistratura alla “Newco” di Pomigliano, ex Fiat, trova un non scontato sostegno da parte di un importante sindacato campano, quale la Uil e dalla sua segretaria regionale, Anna Rea. Sostegno ancora più rilevante se si pensa che la Rea è anche Segretaria confederale internazionale Uil, reduce dall’avere aperto nuove sedi del suo sindacato a Bruxelles ed in Libia. Dunque una voce sindacale di valenza nazionale ed internazionale, di un sindacato che in Campania è particolarmente forte nell’industria e nei servizi privati e che a livello europeo esprime uno dei 7 leader sindacali della Ces. Scrive la Rea sul fatto politico: «Basta ipocrisia, non si può affidare ad una sentenza il rientro in fabbrica, sembra non ci si renda conto che fuori dallo stabilimento di Pomigliano ci sono oltre 2000 lavoratori, con o senza sindacato, che hanno le stesse identiche esigenze e drammi, siamo di fronte ad una discriminazione al contrario». Dunque, non c’è nessuno che non veda che storicamente Fiat le auto al Sud voleva venderle più che produrle. E che per spingerla ad aprire fabbriche nel Mezzogiorno lo stato la finanziò con oltre 23mila miliardi delle vecchie lire, quasi 12 miliardi di euro, una cifra non da poco. Vicende legate alla Fiat Agnelli e non alla Fiat Elkann di oggi, che è riuscita a sopravvivere prima basandosi sugli autoveicoli industriali ed agricoli, poi sull’americanizzazione del marchio avvenuta nell’era Marchionne. Mantenere la produzione al sud è difficile, per motivi strutturali e non. La presenza in Sicilia è già andata. Per mantenere quella in Campania, i lavoratori a Pomigliano a maggioranza accettarono le riforme Marchionne e sostennero sigle come la Uil e la Cisl. I locali rappresentanti della Fiom hanno stracciato la tessera, protestando sulla condotta politica del loro sindacato, ormai imbarcato im una guerra politica contro il capo italo canadese della Fiat. Su tutto ciò sulla stampa ed in tv non c’è stato traccia. I media più o meno di sinistra, in un periodo di fuoco per l’inasprirsi dell’antiberlusconismo, hanno identificato in Fiom il sindacato giusto, anche quando copriva scioperi improvvisi, veri e propri sabotaggi mentre hanno ridicolizzato gli altri come venduti e come soggetti cui piace vincere facile con l’uso dell’intimidazione e del ricatto. Per i media, più o meno di destra, tutto il sindacato è a prescindere “giurassico”, da rifiutare in blocco, come se solo gli operai non dovessero avere voce in un mondo che la dà anche alle battaglie più improbabili. Giuridicamente, dice Pardo, sentenza in linea di diritto giusta che impone di riassumere 145 operai, considerati sostenitori Fiom. Ma che non può impedire all’azienda di licenziarne tutti e duemila per riaprire all’estero. E ribadisce la Rea: «Si fa in fretta a sentirsi dalla parte dei “giusti” prendendo in considerazione solo un piccolo pezzetto della realtà che ci circonda. Il problema vero è che la ripresa economica e produttiva stenta a decollare e per cambiare questo non c’è nessuna corsia preferenziale che tenga. Anche la sentenza di stamane è stata possibile perché la Fiat è rimasta a Pomigliano grazie ad un accordo siglato con i sindacati presenti ai tavoli, se questo non fosse successo adesso non staremmo qui a parlare né di sentenza, né di riassunzioni». Dunque, c’era e c’è un sindacato, come in Germania, che ragionava e ragiona per permettere la produzione al sud. Senza il suo sforzo, non ci sarebbe stata nemmeno la fabbrica e dopo nessuna riassunzione. Il sud è il grande problema del paese, come è noto a tutti, ben prima dell’euro, della finanza, della politica e dell’Europa. Trovare il modo per produrre con profitto al sud è una delle vie principali per combattere la crisi. Chi ci prova però no trova sostegno nella giustizia, nei media e nella politica; viene ignorato. Ci si guarda bene dal vedere la coincidenza della voce liberale con quella sindacale. L’operaio che vuole conservare il suo lavoro considerando suo l’interesse dell’impresa, non è un fantasma, né un’astrazione. Esiste, respira, vince le elezioni in azienda, rischia il mobbing con i colleghi, si prende gli sputi e gi insulti. Qualcuno vuole parlarci? Economicamente, dice la Rea «noi siamo sempre in attesa, che la Fiom si sieda ai tavoli delle trattative smettendola di affidarsi ai tribunali. Si vuole frammentare la rappresentanza in mille microscopici sindacati di comodo. La strada da percorrere l’abbiamo già siglata unitariamente il 28 gigno». Perché la Fiom sola contesta i contratti tutti dal 2009, contesta in Fiat per partito preso quello che firma in Siemens o mille altre aziende; contesta la madre Cgil che a sua volta firmò l’accordo generale del 28 giugno 2011 proprio per fare fuori proprio la figlia Fiom. Possono i lavoratori morire di crisi ed insieme dei colpi di coda del berlinguerismo? Conclude Rea: «Il 2 luglio, Cgil Cisl Uil e Ugl scendiamo in piazza, a Napoli, per la la vera discriminazione in Campania, la mancanza di lavoro». Si badi bene, Rea include l’Ugl, il sindacato di destra che è concorrente alla Uil ma che la Fiom rossa non riconosce nemmeno se è votato dai lavoratori. Allora Pardo e Rea dicono le stesse cose. Quando è che metteremo a frutto quest’evoluzione ed isoleremo media, politica e sindacato giurassici, ma collocati dovunque?
Ritratto di Gipo
29 giugno 2012 - 13:04
...pure i sindacati hanno le loro posizioni politiche da difendere, che però non confonderei con gli interessi particolari, o di casta, o di strutture giurassiche non evolutesi. La Fiat sta facendo elemosina al sud? Non è Italia quella? Bene, se ne vada allora; chiuda domani però, non aspetti un secondo di più. Non mi sembra, poi, che le Alfa Romeo uscite da Pomigliano abbiano venduto, o fossero pensate per vendere, solo al sud; perché un'Alfa fatta ad Arese quelli di Napoli non la sapevano guidare? Non se la potevano permettere? Stesso discorso per Cassino e Melfi. La Val di Sangro con la Sevel per i LCV ha coinvolto costruttori e capitali esteri, e di macchine agricole, che io sappia, ne ha sempre prodotte solo la New Holland. Non ravviso, insomma, arroccamenti strumentali, mentre è invece molto, ma molto, strumentale scendere in piazza a Napoli, a sigle unite, ma in realtà escludendo il principale sindacato metalmeccanico della nazione, facendo biecamente leva sulle disgrazie di milioni di persone determinate dall'endemica disoccupazione della regione Campania. Scendessero contro la corruzione della classe politica, la Camorra, il legame indissolubile esistentre tra queste due realtà, ossia ciò che realmente non rende competitiva quell'area, ma tante altre del nostro paese, chiudendole automaticamente ad investimenti di sorta. Come dico più sotto: ci vuole l'Esercito! I giornalisti? Ecco, quelli sono sicuramente una casta, che infatti ha i propri contrasti interni, esattamente come accade per quella politica, e che ti restituisce una realtà del tutto funzionale al proprio tornaconto (leggi blandimento dei loro finanziatori, prima ancora che editori).
Ritratto di Montreal70
29 giugno 2012 - 13:16
Gipo, in un contesto economico-politico mondiale che ha visto il capitalismo far breccia persino nei paesi "rossi", i contender sono più competitivi che mai. A partire dagli anni '60, la crescita economica si è tradotta in un ampio riconoscimento dei diritti dei lavoratori. Tali miglioramenti sociali, erano sostenuti proprio dall'aumento del Pil, che ha permesso alle aziende di cedere margini profittuali in favore del welfare. Oggi, il mondo è ben diverso. Certe realtà pleistoceniche sono destinate ad adeguarsi al tempo in cui vivono, o sopperire. Prima di migliorare qualcosa, bisogna che qualcosa continui ad esistere. Fiat è un'azienda privata. Come tale, il suo primo obiettivo è il profitto. Secondario è il mantenimento dei posti lavorativi, sebbene ciò sia un'obbligo etico, nonchè necessario al proseguimento della sua attività economica. Ma il punto della questione è che, se pur ciò sia vero, lo è altrettanto che gli stessi risultati possano essere più agevolmente perseguiti in ambiti di delocalizzazione. Attenzione, non parlo di paesi in cui sia sconosciuto il diritto soggettivo, ma di paesi in cui sono assenti certi arroccamenti medioevali che limitano l'azione di impresa. In Italia, c'è la politica, come primo nemico. La politica, al pari delle mafie, è infiltrata ovunque. Non solo in parlamento, ma in editoria e sindacati. Una delle lezioni di vita più importanti che possano essere apprese, è che la realtà sta nel mezzo. Come ho già avuto modo di dire ad un giornalista politicizzato che minacciava di farmi causa, se la Fiat sta sul confine destro, e Fiom oltre quello sinistro, è palese che la verità vada cercata al centro. L'alternativa, è un inesorabile declino nazionale, peraltro già iniziato. Se in Germania oggi ci guardano dall'alto, è per i sacrifici impopolari attuati da Schröder negli anni passati. All'epoca in Germania come oggi in Italia, certe scelte apparivano dannose. Passati gli anni, lo stato tedesco è diventato il traino/dominatore d'Europa. Non mi pronuncio sull'esito che le politiche italiane private ed istituzionali otterranno, ma credo che il contesto vada visto in un'ottica più ampia, nello spazio e nel tempo. Cordialmente, Giuseppe.
Ritratto di Gipo
29 giugno 2012 - 15:48
..., con un'Agenda 2010 in deroga al trattato di Maastricht, con contestuali campagne d'investimenti e di sgravi fiscali; altro che austerity, altro che lacrime e sangue... e che comunque non ha minimamente scalfito la rappresentanza sindacale. Ampliando, appunto, l'orizzonte a livelli globali non concordo quando affermi: "...il punto della questione è che, se pur ciò sia vero, lo è altrettanto che gli stessi risultati possano essere più agevolmente perseguiti in ambiti di delocalizzazione". Keynes, e chi come me ne accoglie le teorie come unica via d'uscita dalla crisi attuale, ti toglie questa "libertà". Per farla breve: le scelte d'indirizzo degli investimenti non possono essere nelle sole mani dei soggetti privati (e degli inevitabili gruppi di potere che ne derivano), per i quali la ricerca unica ed incondizionata del profitto non deve essere vista come una caratteristica imprescindibile, ma come una devianza da evitare. Il criterio valutativo delle balance scorecard, del resto, considera il profitto in subordine ad altri fattori, al fine di stabilire la bontà reale d'una qualsiasi iniziativa economica, piuttosto che la sua tossicità; perché altrimenti anche una banale operazione speculativa genera legale profitto (e qui si sta parlando di speculazione industriale). Si evita la devianza dell'asservimento totalizzante al profitto mediante authority apposite ed opportuni organismi di governance, a livello di stati sovrani ed organizzazioni sovranazionali. Solo così si fanno dei piani di sviluppo economico (l'unico nostro fu il fallito Progetto 80), esattamente come si fanno i piani regolatori dei territori, che altrimenti, in una logica di puro profitto e per iniziativa unica dei privati, avrebbero destinazioni d'uso quantomeno incongrue (vedasi tendenza a massimizzare le cubature, in raffronto al profitto, e quella a minimizzare, se non azzerare, le infrastrutture, in raffronto al welfare). Il nostro è un modello di capitalismo già ampiamente fallito, che sta in piedi con le guerre e con altri artifici che nulla hanno a che fare con margini, PIL, welfare e chi più ne ha più ne metta. Sarebbe tecnicamente possibile dare a tutti uno stipendio minimo di cittadinanza; a tutti! Altro che tagli su margini, welfare, SSN... Il PIL delle nazioni si salvaguarda con politiche di governance, che ora devono essere rese globali, devono fare il quantum leap. Siamo alla deriva, e come giustamente Confindustria afferma proprio oggi, gli effetti sono paragonabili a quelli d'una guerra; perché è una guerra. Il fatto che Marchionne della Cina apprezzi lo stipendio dei loro operai, in quanto pari ad un quinto dei nostri, costituisce una presa d’atto, abbastanza stupida per giunta, e nulla più. Un po’ pochino per una persona che è fra coloro i quali hanno il potere, per non dire il dovere morale, di incidere sulle dinamiche economiche globali.
Ritratto di Montreal70
2 luglio 2012 - 12:46
Credo che ci si stia allontanando dal fulcro del problema. Le aziende seguono una logica tutto sommato prevedibile, che le porta a salvaguardare i propri interessi, anche a discapito della collettività, che si tratti di dipendenti o concittadini. Le uniche entità in grado di direzionare le politiche aziendali sono i governi. Solo loro possono, con azioni mirate alla realizzazione di un contesto economico favorevole alla prolificazione imprenditoriale, fare questo. Si delocalizza? Rendi competitivo il tuo paese. Adegua le infrastrutture, adegua le strutture normative ai tempi correnti, preleva ricchezza e redistribuiscila equamente tra fasce basse che creano consumi. Rendi efficiente il sistema contributivo, fai si che con il minimo prelievo fiscale si ottengano il massimo dei servizi. Elimina ogni spesa superflua e valorizza ciò che fa crescita, anche a lungo andare. Vogliamo parlare dei miliardi di euro spesi dal governo per istruire le menti più brillanti del mondo e poi lasciarli andare all'estero a creare sviluppo? La situazione è piuttosto complessa, il vero ostacolo all'economia nazionale è un susseguirsi di governi altamente inefficienti. D'altronde, Churchill aveva ragione.
Ritratto di mecner
28 giugno 2012 - 14:37
Finalmente una buona notizia. Sono contento per la Fiat che continua ad esportare una immagine vincente di italianità. Orgoglioso della nasciata, anche in Cina, di uno stabilimento Fiat. Il contributo al miglioramento di un prodotto italiano aumenterà il nostro prestigio nel mondo. Alla faccia di tutti gli ANTI-Fiat e di tutti i troppi ANTI-Italia. Finalmente, era ora..................
Ritratto di Porsche
28 giugno 2012 - 15:28
scendi con i piedi sulla terra.
Ritratto di ForzaPisa
28 giugno 2012 - 16:52
Posa il fiasco: ha venduto 1.500 auto in un mercato di 1 miliardi di potenziali automobilisti...
Ritratto di wiliams
28 giugno 2012 - 17:18
Si vero,però mi sa che adesso hanno tutte le carte in regola per ritagliarsi uno spazio non indifferente,finalmente hanno un prodotto molto valido che sicuramente sarà apprezzato,ma soprattutto dopo i fallimenti con i partner precedenti cinesi come NANJING e CHERY adesso grazie alla JOINT VENTURE con la CAG sembra che hanno trovato il partner giusto.Senza dimenticare che oltre al marchio FIAT a breve saranno anche i marchi JEEP e ALFA ROMEO a essere vendute in CINA.Il fatto che il GRUPPO FIAT arrivi per ultimo in questo immenso mercato questo non vuole dire che non abbia nessuna speranza di riuscire nella sua impresa,anzi......
Ritratto di osmica
28 giugno 2012 - 17:03
Di quale italianità parli visto che quella vettura è nata per il mercato estero, e, FORSE, sarà in vendita anche nel "nostro" continente? P.s. antifiat? In Cina la "concorrenza" "europea" è presente da decenni con volumi di vendite enormi e quindi anche con una certa quota di mercato e una conoscenza da parte della domanda non da poco. La Fiat arriva oggi, e la sua strada per avere un piccolo successo è molto la molto ripida. Era ora? No, l'ora era qualche anno fa.
Ritratto di francesco alfista
28 giugno 2012 - 15:07
oramai l europa diventera' un optional.....visto la crisi si investe dove si guadagna nn dove hai pure il governo contro...li operai a piedi mi dispiace x loro ma la colpa e' del governo nn di fiat...aprite gli occhi....!!
Ritratto di Silvio Dante
28 giugno 2012 - 16:19
se gli andrà bene buon per loro, ma dovranno passare da 1500 vetture importate a, inizialmente 150000 auto prodotte, per poi passare a 300000 di una marca che praticamente in cina è sconosciuta. auguri!!! bravo, giulietta e delta attualmente le fanno a cassino, immagino che dal 2014 le eredi le faranno in cina così potranno chiudere un altro stabilimento italiano ed evitare ulteriori sentenze random del demenziale sistema legislativo/giuridico/amministrativo italico. grazie pure ai sindacati, ottimo lavoro. ;)
Ritratto di Gipo
29 giugno 2012 - 12:28
...qui non è il sistema italico; datti pure la risposta da solo. Randomica, poi, è l'attività neuronale che caratterizza almeno due persone di nome Silvio. Qual'è il problema del sistema italiano? I sindacati? Che ci sono in tutto il mondo, tranne che nelle piantagioni di cacao del Corno d'Africa dove ci lavorano bambini pestati a sangue? Che non ci sono nemmeno in Cina dove la gente si suicida e lavora e dorme nello stesso posto, come bestie? O forse il problema è la corruzione dei politici e le organizzazioni criminali, praticamente sempre in collegamento diretto? Come categorizzi, ad esempio, CL in Lombardia (giusto per non tirare in ballo le solite regioni e le solite organizzazioni, e considerato che Marchionne è stato onorato ospite del Meeting di Rimini 2011)? Una semplice lobby? Un'emanazione della 'ndrangheta? Un'organizzazione criminale tout court? Ci vuole l'Esercito! Altro che missioni estere, la missione da compiere è qui, sotto gli occhi di tutti. L'Esercito deve presidiare i cantieri, cominciando da quelli delle ricostruzioni post-terremoto, delle costruzioni delle infrastrutture pubbliche e private (che stanno fagocitando le prime per ovvie ragioni sempre legate ad interessi e corruttele vari), fino ad arrivare a quelli dell'Expo (e per fortuna che sono state proibite le Olimpiadi di Roma, dopo quello che è successo coi mondiali di nuoto). Lì sono gli interessi, la collusione tra criminalità e politica, le enormi perdite sistemiche, autentiche emorragie mortali per il nostro paese. Non certo nelle fabbriche, non certo a Cassino, non certo per colpa dei sindacati!
Ritratto di Montanelli
28 giugno 2012 - 17:38
Come sempre saliamo quando il treno è già in corsa.... la solita lungimiranza del management italiano!
Ritratto di LucaPozzo
29 giugno 2012 - 14:53
Permettimi di dire che ti sei appropriato del nome di una persona che non sarebbe mai caduta in una simile semplificazione. Lo affermo per due ragioni. Primo il problema è stato il mancato sviluppo di relazioni intavolate già a fine anni 80 con Saic, prima di molte altre case, quando, tolta Taiwan, la Cina esportava riso e poco altro. Secondo, perchè la "solita lungimiranza" dei vecchi dirigenti del gruppo, è la stessa che ha portato ad avviare le attività in Sud America alcuni anni prima di VW. Certo, il disastro è stato attentamente pianificato durante gli anni 90. Questo non significa però che prima non ci fosse nulla, anzi.
Ritratto di Giovanni calabrò
29 giugno 2012 - 22:20
Certo che sentire gente contenta che la Fiat apre uno stabilimento in Cina per costruire un auto americana della dodge su cui mettere un emblema Fiat e che si riesca a parlare anche di italianità ? ....be mi sembra proprio di una tristezza infinita. Così si sta veramente mettendo la pietra tombale a piccoli pezzi alla volta su l'auto italiana
Ritratto di lucios
1 luglio 2012 - 12:17
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.....tranne il posteriore e gli interni, tipicamente rozzo-USA. La Viaggio? Prodotto cinese, buono per cinesi e indiani! Con quei profili argentati intorno ai fendinebbia ricorda la lowcost (cinese) DR5. Ma dai! Facciamo per una volta gli italiani creatori di auto memorabili! Serge, non essere solo finanziere-industriale! Fai il "costruttore di auto italiane"!