PUNTO PER PUNTO - A volte non c'è migliore difesa dell'attacco. Durante l'assemblea degli azionisti che si è tenuta stamattina, Sergio Marchionne (foto in alto) ha “messo i puntini sulle i” in merito al polverone sollevato, dopo che il quotidiano “la Repubblica” ha pubblicato delle indiscrezioni sul piano industriale che il gruppo torinese presenterà il 21 aprile, sostenendo che la Fiat sarebbe pronta a ridurre da 12 a 8 i modelli prodotti in Italia e “tagliare” circa 5.000 posti di lavoro.
UNA CRISI LUNGA - “La Fiat non pretende di essere elogiata come dal presidente Usa Barack Obama dopo l'operazione Chrysler, ma vorrebbe equilibrio e giustizia” ha detto l'amministratore delegato riferendosi alle accuse mosse da alcune parti politiche e alcuni sindacati che “sembrano vivere in un altro mondo” e non si sono accorti del crollo del mercato mondiale. Già, perché Marchionne l'ha detto chiaro: “ il 2009 è stato un anno difficile per il gruppo Fiat come per tutto il mondo industriale. Siamo arrivati a livelli così bassi che non si vedevano dal '94: nel giro di tre anni si è perso un quarto dei volumi precedenti.” Il gruppo Fiat ha chiuso il 2009 con un fatturato di 50,1 miliardi di euro, il 16% in meno del 2008, un anno record. Ma, secondo Marchionne le previsioni per il futuro non sono rosee: il 2010 sarà caratterizzato da un mercato dell'auto in calo del 15% e per ritornare ai volumi pre-crisi bisognerà aspettare quattro anni.
MATRIMONIO FONDAMENTALE - A quanti accusano il suo Gruppo di interessarsi poco ai problemi dell'Italia e di spostare il baricentro dei propri interessi verso gli Usa, Marchionne ha risposto che “la Fiat non è andata all'estero per capriccio e dimenticando l'Italia”. Una scelta che l'amministratore delegato ha difeso a spada tratta: “grazie all'accordo con la Chrysler abbiamo una seconda possibilità, possiamo ricostruire una base industriale forte nel nostro paese. Abbiamo le spalle sufficientemente larghe per sanare quegli handicap produttivi che per troppo tempo ci hanno fatto apparire inefficienti in confronto ad altre realtà all'estero. Non sprechiamo questa opportunità - ha aggiunto - quello che è successo negli Usa dimostra che la sfida è possibile, lo è unendo le forze, le intelligenze, le risorse. Lo è dividendo compiti, sacrifici e responsabilità. Vorremo che, per una volta, fosse l'Italia a diventare esempio di come questi cambiamenti si possono realizzare con successo”.
NIENTE TERMINI IMERESE - Per ribadire questo pensiero, Marchionne ha annunciato che Pomigliano d'Arco diventerà “il secondo più grande stabilimento italiano entro tre anni” percorrendo così il piano di aumentare la produzione delle vetture in Italia a 900.000 unità. Un programma che non contempla, come più volte detto, Termini Imerese, “una spina nel fianco” per i conti del gruppo torinese. Marchionne ha ricordato che “la Fiat ha investito nell'impianto sicialiano 552 milioni di euro a cui vanno aggiunti 250 milioni per progetti che non rientravano tra quelli agevolati. Per contro ha ricevuto 93 milioni di contributi a fondo perduto e 164 milioni di prestiti interamente restituiti nei tempi previsti e con gli interessi”. Secondo Marchionne la scelta di cessare la produzione di auto a Termini "è diventata un passo obbligato, dopo che per molti anni la Fiat si è accolatta l'onere di gestire questo stabilimento in perdita".