CINA IN POLE POSITION - Per chi lavora nel settore dei veicoli, il primo dato della ricerca del Centro Studi di Fondazione Ergo “Perché l’Italia deve puntare sull’industria dell’auto” è confortante: nel mondo, dal 2009, ogni anno ha fatto segnare una crescita nella produzione delle automobili (passando da 47,8 milioni ai 73,5 del 2017) e dei veicoli commerciali (da 14 a 23,9 milioni). Il merito va però in gran parte alla Cina (nel 2017 arrivata a sfornare 29 milioni di unità), mentre sono in calo il Sud America (-13%) e l’Unione Europea (-2,6%). Quest’ultima, nel 2007 realizzava il 27% dei veicoli di tutto il mondo, mentre oggi è ferma al 19,7%. Ma il settore resta trainante per l’economia del Vecchio Continente: ci lavorano 3,4 milioni di persone, l’11,3% del totale del settore manifatturiero (valori che in Italia valgono 250.000 occupati e una quota del 7%).
USA, SEGNALI CONTRASTANTI - La Cina è al primo posto anche nelle vendite: 27 milioni di veicoli l’anno. Al secondo posto ci sono gli Usa (17 milioni), che da un punto di vista industriale hanno vissuto una parabola interessante: dal 2008, anno di crisi delle banche, il comparto manufatturiero è ritornato a interessare gli investitori, tanto da crescere da 12 a 13 milioni di occupati, grazie anche a prestiti di decine di miliardi erogati dal governo (a General Motors, ma anche alla Chrysler, affidata all’epoca alla Fiat). Tuttavia, al di là dell’Atlantico la situazione non è omogenea: mentre la FCA punta ad assumere 6.500 persone, la GM, che pure nel mondo vende quasi il doppio, ha annunciato 14.000 licenziamenti e la chiusura di 5 fabbriche. E pure la Ford ha parlato di provvedimenti simili, anche in Europa. Questa differenza, secondo lo studio, si può far risalire alle scelte strategiche degli ultimi anni: FCA ha deciso con maggiore prontezza di puntare su suv e pick-up, più profittevoli, e sviluppa le tecnologie della guida autonoma con dei partner, come Google e BMW (cosa in pratica obbligata, dati i minori mezzi finanziari a disposizione) invece che in autonomia.
IL DIESEL METTE IN CRISI L’EUROPA - E l’Europa? Il Vecchio Continente aveva puntato moltissimo sui motori a gasolio, guadagnandosi un netto primato tecnologico; ma non è riuscito a imporre agli altri mercati (Asia e America in primis) questa soluzione, che adesso è in forte crisi anche in Europa. Secondo Alberto Bombassei, fondatore e capo della Brembo, il crollo nella richiesta di vetture a gasolio causerà in futuro la perdita di un milione di posti di lavoro. A questo problema si somma la presenza di troppi stabilimenti (110 in tutto), che quindi non funzionano a pieno regime, con conseguenze sugli utili. E così, se Renault e PSA riescono a segnare un guadagno del 5%, grazie anche alle partnership orientali (rispettivamente, Nissan e Dongfeng), Ford Europe nel 2018 è andata in rosso di 398 milioni di euro e Jaguar-Land Rover (fonte Bloomberg) perde 3-4 milioni di euro al giorno. FCA in Europa è riuscita a ottenere un reddito operativo dell’1,8% (positivo, ma ben lontano dall’ottimo 8,6% dell’America, dove fa l’85% degli utili) e VW annuncia un margine complessivo del 3,8%, raccolto soprattutto in Cina (Paese nel quale è il primo gruppo in assoluto, con 4,2 milioni di auto vendute).
SEVEL, UN ESEMPIO - Siamo arrivati all’Italia. Ebbene, le fabbriche di FCA producono il 2-3% del Pil e occupano 65.000 persone; inoltre, il 75% della produzione dei componentisti dell’auto nostrani (45 miliardi di euro) è andata proprio a FCA. Fra il 2014 e il 2017, si è vissuto un periodo complessivamente positivo, con la ristrutturazione di Pomigliano, Melfi, Grugliasco, Mirafiori, Termoli, Sevel e Cassino, che - dice sempre lo studio - ha guidato la crescita dell’export made in Italy e il passaggio del Pil del Paese da un segno negativo a quello (moderatamente) positivo. L’evoluzione è stata anche qualitativa, poiché la produzione di utilitarie si è ridotta, mentre quella di modelli premium e semi-premium copre il 60% del totale, come mai prima nella storia italiana. Ma nel 2018 c’è stato un primo stop, con il ritorno della produzione complessiva di autoveicoli (furgoni compresi) al di sotto del milione di pezzi. A oggi, la situazione è comunque la seguente: l’unico stabilimento nazionale che produce utili è la Sevel di Atessa, in Abruzzo, dove si realizzano i veicoli commerciali (il Fiat Ducato ma anche il Citroën Jumper e il Peugeot Boxer); da solo, questo impianto assicura il 10% del Pil dell’Abruzzo. Maserati e Alfa Romeo, dal canto loro, sono in una sorta di limbo: la prima, in particolare, risente del calo delle vendite cinesi (da 17.000 a 7.800 fra 2017 e 2018), mente l’accoglienza delle auto del Biscione è stata meno calda del previsto. Una nota assai positiva, invece, arriva dal Mezzogiorno: le Jeep ibride Renegade e Compass sono state progettate in Italia e saranno assemblate a Melfi per tutto il mondo. America compresa.
MA I CLIENTI COSA VORRANNO? - Le dinamiche industriali sono strettamente legate a come si evolveranno la tecnologia e le preferenze dei clienti. E qui servirà prestare la massima attenzione alla Cina, che non solo è il primo mercato, ma è anche quello che - meno condizionato da una lunga tradizione - accetta più facilmente le innovazioni. E infatti, la quota di auto elettriche vendute nel 2018 è stata del 4,6% (Europa e Corea, al secondo posto, sono solo al 2,1%). Inoltre, il 24% degli automobilisti cinesi è a favore delle vetture che guidano da sole (contro il 13% degli americani e il 7% dei tedeschi), mentre la percentuale di chi vede di buon occhio la condivisione dei veicoli è il 36% (invece, rispettivamente, del 26% e del 16%). Da quest’ultimo punto di vista, comunque, in tutto il mondo la tendenza è verso la crescita: anche in Italia, il numero degli iscritti a un car sharing cresce di oltre il 50% l’anno.