C’ERA PURE IL RE - Ieri è stato nientemeno che il re del Marocco, Muhammed VI, a “battezzare” il nuovo stabilimento della Renault a Tangeri (nella foto sotto). Una presenza, quella del sovrano, che dà l’idea dell’importanza attribuita dalla politica locale a una fabbrica per cui il gruppo francese ha investito un miliardo di euro e che dovrebbe dare lavoro a oltre 36.000 persone, tra dipendenti (si parla di 6000 assunzioni entro il 2015) e personale che verrà assorbito nell’indotto. L’impianto, che è in grado di produrre 400.000 vetture all’anno, si occuperà dei veicoli di fascia più bassa del marchio Dacia, come la futura monovolume low cost Lodgy.
BASSI COSTI DI PRODUZIONE - E dire che, neanche un mese fa, il presidente della Repubblica francese, Nicolas Sarkozy, aveva convocato l’amministratore delegato del gruppo Renault-Nissan, Carlos Ghosn, per fare pressioni affinché la casa, di cui l’Eliseo è azionista al 15%, abbandoni la politica di delocalizzazione della produzione intrapresa negli ultimi anni (la realizzazione della Clio, per esempio, sembra in partenza per la Turchia). È però difficile che le raccomandazioni ottengano l’effetto sperato. Basti pensare che lo stipendio mensile di un lavoratore marocchino si aggira sui 250 euro (200 in meno di un romeno) contro i quasi 2000 euro di un collega francese. Non stupisce pertanto che la produzione di automobili in Francia sia crollata: la Renault ne produceva oltre un milione nel 2004, adesso meno di 500mila. Come se non bastasse, il sovrano marocchino ha fatto a Ghosn una di quelle offerte che non si possono rifiutare: detassazione completa sulle attività della fabbrica per i prossimi cinque anni e infrastrutture nuove di zecca, tra cui un’autostrada e una linea ferroviaria ad alta velocità.
POLEMICHE IN PATRIA - “L’apertura della nuova fabbrica non sarà fatta a danno della Francia; anzi, procurerà nuovo lavoro agli ingegneri e alle fabbriche francesi, oltre che ai fornitori”, aveva assicurato Ghosn. Pochi però ci credono. Da qui il polverone di polemiche sollevato in patria. Tanto più che, in Francia, infuria la campagna elettorale (le presidenziali si terranno il 22 aprile). I sindacati non la mandano a dire: “Tangeri è la fabbrica madre di tutti i mali”. Addirittura, l’ex ministro dell’Industria, il conservatore Christian Estrosi, ha accusato la casa di “dumping sociale” in Marocco. A ogni modo, gli occhi restano puntati sul piano d’investimenti da 5,7 miliardi che il gruppo ha promesso di attuare entro il 2011, il 40% dei quali, secondo quanto assicurato dal management, sarà speso in Francia.