EUROPA SI, EUROPA NO - Non ha solo spunti greci la riflessione sulle prospettive dell’Unione Europea e l’eventualità che qualche paese ne esca. Ovviamente senza i clamori suscitati dalle vicende greche, l’argomento è d’attualità anche per l’evoluzione del quadro politico del Regno Unito. Il 7 maggio i cittadini di sua maestà Elisabetta II andranno a votare per le elezioni politiche nazionali e i leader dei partiti stanno giocando le loro carte anche tenendo conto della crescita nel paese di un sentimento antieuropeista. Fenomeno che è stato ben testimoniato dal successo elettorale del partito Indipendence Party alle scorse elezioni europee.
LA PRMESSA DI UN REFERENDUM - In questo contesto generale il premier David Cameron (foto qui sopra) ha messo in primo piano nella sua campagna elettorale l’impegno per un referendum sulla permanenza o meno del Regno Unito nell’Unione Europea. Per la precisione l’impegno è per un ricorso alle urne nel corso del 2017. E va detto che Cameron ribadisce la cosa senza dar a vedere di voler caldeggiare il mantenimento dello status quo, come dicesse agli elettori “fate voi”.
PROSPETTIVE INCERTE - Si può ben immaginare che la cosa possa essere un atteggiamento tattico per recuperare elettori antieuropeisti, ma ciò nonostante la prospettiva sta inquietando non poco importanti settori del mondo economico, come l’industria automobilistica, che in Gran Bretagna è presente con stabilimenti produttivi di diverse case costruttrici: Ford, Nissan, Toyota, Honda, Opel-Vauxhall, Mini, Rolls-Royce, Bentley, Jaguar e Land Rover. Tutti nomi che fanno capo a gruppi non inglesi, che in caso di uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea si ritroverebbero alle prese con problemi non previsti e di non facile soluzione.
CONSEGUENZE PESANTI - Sull’argomento già da parecchio tempo si è pronunciato il presidente della Nissan, Carlos Ghosn, il quale ha affermato che in caso di uscita della Gran Bretagna dell’Unione il suo gruppo sarebbe costretto a rivedere i sui programmi di investenti (oggi la Nissan nel suo stabilimento di Sunderland produce oltre mezzo milione di vetture all’anno). Oltre alla posizione esplicita di Ghosn ci sono poi diverse considerazioni di analisti economici, i quali affermano che senz’altro l’industria dell’automobile ha tutto l’interesse che la Gran Bretagna resti nell’unione europea.
OBIETTIVI DI CRESCITA - E proprio il livello produttivo dell’industria automobilistico è un altro degli argomenti ricorrenti negli interventi di campagna elettorale del premier David Cameron. Per esempio, parlando nei giorni scorsi alle maestranze della Rolls-Royce (foto in alto), il premier ha sottolineato come la Gran Bretagna con 1,53 milioni di veicoli prodotti nel 2014 sia la terza nella classifica dei paesi produttori di auto in Europa, dietro la Germania e la Spagna che “ora sono nel nostro mirino”, ha detto Cameron.
L’AUTO CONVIENE - Dunque l’industria dell’auto come importante fattore di occupazione e di crescita è un argomento forte di Cameron per sollecitare il voto alle elezioni del 7 maggio prossimo. Senonché queste rosee prospettive si scontrano con le conseguenze di una ipotetica vittoria del “fuori dall’Unione europea” al referendum promesso da Cameron. Come ben fanno intendere le valutazioni fatte da Ghosn e dal mondo economico.
I VANTAGGI EUROPEI - Le ragioni sono abbastanza semplici. Del milione e mezzo di auto prodotte in Gran Bretagna l’anno scorso il 41% è stato venduto nei paesi dell’Unione Europea dove vige la libera circolazione delle merci nei paesi membri. Ciò mentre il sistema economico inglese offre condizioni di lavoro convenienti per le aziende straniere (come dimostrano le tante presenze di impianti produttivi di case costruttrici, tutte straniere).
REGOLE E MANODOPERA - Ma non solo di questo è fatta la contrarietà dell’industria dell’auto all’uscita della Gran Bretagna dall’Europa. Altri argomenti riguardano la regolamentazione di tutto ciò che riguarda l’auto e la libertà di movimento delle persone all’interno dell’Unione. Per il primo aspetto viene sottolineato che è sempre meglio essere al tavolo dove si discutono e si decidono le regole che non doverle rispettare senza discuterle. Quanto alla libertà di movimento il timore è che una Gran Bretagna fuori dall’UE si dia norme sull’immigrazione che finirebbero con il ridurre i vantaggi per le aziende in materia di costo del lavoro.