IL RICHIAMO - Ai proprietari delle auto coinvolte nel dieselgate, il gruppo Volkswagen suggerisce di aspettare (con grande pazienza, dato che a settembre si celebra un anno dallo scoppio del bubbone) la lettera che invita a portare la vettura in officina; qui verrà aggiornato il software della centralina elettronica, con la promessa che le emissioni inquinanti saranno, da allora in poi, entro i limiti di legge. Nient’altro: non è prevista nessuna forma di risarcimento. Tuttavia, alla luce di quanto successo negli Stati Uniti (vedi qui), dove la casa è pronta a riconoscere fino a 10.000 dollari ai proprietari delle vetture incriminate, in Europa c’è chi pensa che il richiamo sia una soluzione troppo “comoda”, oltre a dubitare fortemente che le auto aggiornate potranno mantenere invariate prestazioni e affidabilità originali. E, di conseguenza, sta pensando di fare causa al colosso tedesco.
VITTORIA “FACILE”? - Ci sono associazioni che stanno organizzando azioni collettive di richiesta danni (class action), ma ce n’è anche chi invita i proprietari delle turbodiesel incriminate a intentare delle cause singole. È il caso, fra gli altri, dell’associazione europea per la difesa dei diritti dei consumatori (Apdef, http://dieselgatecars.com/it/), nata in Spagna nel 2012 e che si sta espandendo nel resto d’Europa. Sotto il “cappello” della Apdef agisce una schiera di avvocati indipendenti, ma già informati sul caso dieselgate, e che propongono agli automobilisti un “contratto” standard: 450 euro (dei quali 350 di tasse) per la notifica iniziale, e poi nessuna spesa extra se il risultato in tribunale fosse negativo. Viceversa, anche i 350 euro di tasse iniziali verrebbero rimborsati in caso di vittoria; quest’ultima, secondo il presidente dell’Apdef Francesc Rafanell, “è probabile quasi al 100%, perché la Volkswagen ha già ammesso di aver manipolato le centraline, e che le emissioni inquinanti sono fuori legge. Non c’è quindi bisogno di dimostrare nulla di fronte al giudice.”
TRE IPOTESI - “In sede civile - continua Rafanell - ci sono tre azioni possibili. La prima consiste nel fare domanda di sostituzione del veicolo “taroccato”, ottenendone in cambio uno nuovo. Oppure, si può chiedere l’annullamento e/o la risoluzione del contratto di acquisto: la vettura sarà riconsegnata alla Volkswagen, che in cambio dovrà fornire un importo di denaro equivalente al valore attualizzato del veicolo, sommato al valore affettivo e agli interessi legali. Infine, si può fare una domanda di risarcimento, reclamando l’indennizzo per il danneggiamento causato dalle informazioni omesse dalla Volkswagen al momento della vendita”. Al proposito, gli avvocati della Apdef stanno pensando di chiedere una percentuale del valore attuale della vettura (si parla del 70% delle quotazioni dell’usato) e i danni morali: una cifra variabile di caso in caso, ma di almeno alcune migliaia di euro.
CLASS ACTION O CAUSA SINGOLA? - Quanto al perché la causa singola possa essere preferibile alla class action, Rafanell fornisce due motivazioni: “In base alla nostra esperienza, i tempi per arrivare a una soluzione si allungano molto, soprattutto in situazioni come il dieselgate, dove ogni caso è diverso dagli altri per tipo di veicolo, chilometraggio, valore e quant’altro. Il che comporta la raccolta e l’esame di una enorme quantità di documenti. Inoltre, pur essendo convinti che la ragione sia dalla nostra parte, sappiamo bene che il giudice è un essere umano, e che la decisione è nelle sue mani. Insomma, anche in casi lampanti come questo, c’è una sia pur piccola possibilità di perdere una causa. Se questo capita a noi, significa che su cento clienti vincitori, uno o due non riusciranno a ottenere quanto sperato (e avranno speso 450 euro, ndr). Nel caso della class action, se la risposta è negativa, tutti tornano a casa con un pugno di mosche.”