INDAGINE DAL 2011 - Era il novembre del 2011 quando la Suzuki portò davanti ai giudici londinesi la controversia in atto con la Volkswagen a proposito delle modalità di risoluzione dell’accordo intervenuto nel 2009 tra le due società. La collaborazione aveva mostrato grossi limiti abbastanza presto e tra i due costruttori c’era stata presto la rottura con la Suzuki a chiedere che la Volkswagen le rivendesse le azioni Suzuki che deteneva (il 19,9% dell’intero pacchetto societario) e la Volkswagen a rifiutare di cedere tale partecipazione.
PER I MERCATI EMERGENTI - L’accordo tra le due società riguardava l’avvio di progetti di auto piccole ed efficienti da destinarsi ai mercati emergenti. Ma il lavoro non riuscì neanche a partire. Tra le due case iniziarono i contrasti. Tra Suzuki e Volkswagen ci furono accuse reciproche di mancato rispetto dei termini dell’accordo del 2009. Un accordo che prevedeva l’arrivo di tecnologia alla Suzuki e il sostegno alla Volkswagen per il potenziamento della sua presenza in India (dove la Suzuki è leader di mercato).
LAVORO LUNGO - I giudici inglesi tirati in ballo, hanno lavorato parecchio tempo, e ora secondo il presidente del gruppo Suzuki - Osamu Suzuki - il lavoro è finito e manca soltanto la pubblicazione delle decisioni prese. L’importante aggiornamento della situazione è stato fornito durante l’assembla degli azionisti della Suzuki, svoltasi ne giorni scorsi ad Hamamatsu, in Giappone. La cosa che sorprende è leggere le analisti di importanti consulenti economici, secondo cui la conclusione dell’arbitrato potrebbe essere il momento giusto per far ripartire una collaborazione tra le due case! Ciò soprattutto per l’evidente interesse del gruppo Volkswagen ad avere un sostegno locale nelle sue strategie di espansione in Asia, India in particolare.
SCAMBIO AZIONARIO - Da notare che a fronte dell’1,7 miliardi di euro in azioni Suzuki possedute dalla Volkswagen, c’è anche una presenza Suzuki nell’azionariato della Volkswagen (azioni per 770 milioni, cioè l’1,5% del totale delle azioni ordinarie, secondo Bloomberg).