IL PRIMO DELLA STORIA - Sessantacinque anni fa partiva il primo Campionato del Mondo di
Formula 1: Silverstone, autodromo ricavato da un ex base aerea della Royal Air Force, arrivato al giorno d'oggi dopo un numero di modifiche andato di pari passo all'evoluzione del motorismo sportivo, ne è il teatro. Ventiquattro gli iscritti al via del Gran Premio di Gran Bretagna, ventidue gli ammessi alle prove, ventuno i partenti (con il bresciano Felice Bonetto su Maserati primo non qualificato della storia).
I TRE TENORI - Sono le Alfa Romeo le favorite: la 158, detta Alfetta, è un progetto d'anteguerra nato dalla Scuderia Ferrari nel '37 (ai tempi era di fatto il reparto sperimentale dell'Alfa Romeo) e siglato da Gioacchino Colombo. Quasi a riposo nel periodo bellico, durante il quale si corre sporadicamente in Sudamerica o poco più, l'Alfetta si presenta ai nastri di partenza forte di 350 CV sotto il cofano e di una squadra del tutto nuova. L'irruento Farina (foto sopra) è affiancato dal veterano Fagioli e dal sudamericano Fangio: le “3F” (cui si aggiunge il quarto pilota, l'inglese Parnell) rimpiazzano la formazione del 1949 composta dal quasi imbattibile Wimille, perito in Argentina su una Gordini, e dall'italiano Trossi, stroncato da un male incurabile.
MONOPOLIO ALFETTA - L'Alfa Romeo 158 (nelle foto) monopolizza le prove conquistando le prime quattro posizioni; Farina conduce 63 dei 70 giri in programma e sigla anche il giro più veloce. Per sette soli giri non realizza il primo Grand Chelem della storia (un'esclusiva specialità in cui eccelleva Jim Clark, che per otto volte in carriera - primato assoluto - sigla la pole, il giro più veloce e vince involandosi dal via), accontentandosi di quello che successivamente sarebbe stato definito il primo hat trick. Fangio si ritira a otto tornate dal termine per noie alla pompa dell'olio; Fagioli è secondo al traguardo e Parnell terzo. Per l'Alfa è un trionfo, come lo sarà tutta la stagione - esclusa la 500 Miglia di Indianapolis, in calendario ma disertata dai piloti europei: su sette gare (sei disputate), cinque le vittorie della 158 e una, nell'ultimo Gran Premio di stagione, dell'erede 159, anch'essa Alfetta ed equipaggiata con il ponte posteriore De Dion.
UNA VITA A TUTTO GAS - In quel 1950, è il torinese Giuseppe Farina, detto Nino, a laurearsi campione: ha già 44 anni ed è figlio di Giovanni, fondatore della carrozzeria omonima, nonché nipote di Battista, detto Pinin (già, proprio il signor Pininfarina). Di origini agiate, ha due passioni: le auto da corsa e le donne - cosa per l'epoca decisamente sopra le righe, visto che era sposato con la paziente Elsa. In dote portava un sigaro cubano che spesso portava tra le labbra anche in corsa e un coraggio da leone. Di lui, Enzo Ferrari scrisse nel celeberrimo “Piloti, che gente...”: “Nino Farina era l'uomo dal coraggio che rasentava l'inverosimile. Un grandissimo pilota, ma per il quale bisognava stare sempre in apprensione, soprattutto alla partenza e quando mancavano uno o due giri all'arrivo. Alla partenza era un poco come un purosangue ai nastri, che nella foga della prima folata può rompere; in prossimità del traguardo era capace di fare pazzie, ma, bisogna pur dire, rischiando solo del proprio, senza scorrettezze e danno ad altri. Così, aveva un abbonamento alle corsie dell'ospedale”. Ama il rischio, e non smette di farlo neppure dopo il ritiro dalle corse, nel 1956: nel 1960 esce vivo per miracolo da uno scontro con un camion a Biella, mentre muore alla propria maniera - affrontando una curva a una velocità che i testimoni oculari definiscono “pazzesca”. Se ne va così il primo Campione del Mondo di Formula 1 (il solo che l'Italia abbia mai prodotto insieme ad Alberto Ascari, iridato nel '52 e nel '53) nell'anno di grazia 1966: nei pressi di Ginevra, mentre su una Ford Cortina Lotus sta andando a vedere il Gran Premio di Francia.