SEVONO LIQUIDI - Che la
Ferrari sia destinata a essere quotata in borsa non è certo un mistero: entro la fine dell’anno sarà
scorporata dal Gruppo FCA, il 10% delle azioni andrà sul mercato, il 10% in mano a Piero Ferrari (figlio del Drake) rimarrà intoccato, mentre l’80% rimanente è destinato a essere assegnato agli azionisti della stessa FCA - che così potrà mantenerne il controllo. Un piano che, secondo l'agenzia di stampa
Bloomberg, dovrebbe fruttare oltre miliardo di euro: a tanto ammonta il 10% di un valore stimato in circa 10 miliardi.
DOVE SI PAGANO LE TASSE? - Resta, o meglio restava, il nodo fiscale: la quotazione della Ferrari al Nyse (Borsa di New York), secondo Bloomberg, potrebbe ricalcare uno schema simile a quello della FCA stessa dopo la fusione Fiat Chrysler: sede legale nei Paesi Bassi e operativa in Italia. Il che, in ultima analisi, significherebbe una certa perdita di identità di uno dei marchi nazionali per antonomasia. Oggi, tuttavia, è arrivata la risposta della FCA: “la programmata separazione di Ferrari da FCA non comporta e non comporterà il cambiamento della residenza fiscale di Ferrari. Che continuerà infatti ad avere nazionalità e residenza fiscale italiane. Ferrari pagherà le tasse sui propri redditi come fanno oggi tutte le società fiscalmente residenti in Italia”.
CONTROLLANTE IN OLANDA - Chiarissimo, insomma: si resta a Maranello, si spera di portare soldi in cassa a FCA, ma le tasse si pagano in Italia. “L’offerta pubblica e la successiva distribuzione di azioni agli azionisti di FCA riguarderà la società controllante di Ferrari, che sarà una società costituita in Olanda. La struttura prevista non presenta alcuna differenza rispetto alla struttura attuale, nella quale FCA, società costituita in Olanda, è la società controllante di Ferrari”.
MA TASSE IN ITALIA - Già, ma perché la controllante non può essere italiana? E soprattutto, perché tale necessità? La risposta alla stessa FCA: per “disporre di un meccanismo praticamente attuabile ed efficiente per distribuire la titolarità di Ferrari agli azionisti di FCA”. Una questione organizzativa, insomma, che dichiaratamente “non comporterà alcuna riduzione della base imponibile di Ferrari in Italia”. Sulla carta, quindi, l’italianità è salva. E il Fisco può stappare lo spumante.