RIVOLUZIONE ALFASUD - L'Alfasud è una delle auto più significative dell'Alfa Romeo e, in occasione dei suoi 50 anni, ne abbiamo raccontato la storia in un recente articolo (leggilo qui). Ma vale la pena tornare sull'argomento quando a svelare i retroscena più curiosi del progetto è l’uomo che ne tracciò le forme, Giorgetto Giugiaro, che nel 1968, insieme ad Aldo Mantovani, proprio per progettare l’Alfasud aveva fondato la Italdesign.
TUTTO COMINCIÒ IN UN BAR DI TORINO… - Giugiaro parte dal principio, raccontando l’ormai celebre primo incontro con l’ingegnere austriaco Rudolph Hruska, l’allora direttore generale dell’Alfa Romeo al quale il presidente Giuseppe Luraghi aveva affidato le chiavi del progetto della nuova vettura compatta con cui il Biscione avrebbe fatto concorrenza alla Fiat. “La prima volta ci vedemmo, con anche Aldo Mantovani, in un piccolo bar di Torino - ricorda il car designer del secolo -. Hruska condensò il capitolato della macchina in un rapido schizzo su un foglietto a quadretti, indicando tutti gli ingombri con estrema precisione: motore, assi delle ruote, abitacolo. Restammo affascinati dalla sua straordinaria cultura e così gli chiedemmo in quale fabbrica sarebbe stata costruita la vettura che avremmo dovuto disegnare. Ci rispose, candidamente, che ancora non esisteva nessuna fabbrica”. La neonata Italdesign si trovò così ad avviare un “percorso creativo” intorno al layout di un’auto completamente nuova, e che sarebbe dovuta nascere in uno stabilimento del quale non era stato posato nemmeno un mattone.
ANIMA LATINA, PRECISIONE TEUTONICA - “Realizzammo tre modelli in polistirolo e, scelto il più attraente, Hruska prese in mano il metro. Cominciò a misurare i vetri e, fatti i suoi conti, decise che non gli piaceva più”, racconta Giugiaro, che del manager austriaco ricorda “l’ossessione per i calcoli e per l’abitabilità”, che doveva garantire viaggi confortevoli per quattro persone alte più o meno come lui, ovvero 1,85 metri. La progettazione del bagagliaio creò non pochi grattacapi: “Hruska ci disse che dovevano starci senza problemi quattro valigie con misure 450x210x700 mm - rivela Giugiaro -: girammo per giorni tutti i negozi di Torino e Milano per trovare bauli di quelle dimensioni, ma non li aveva nessuno. Ancora mi chiedo dove riuscì a trovarle…”. E le cerniere esterne, a vista sulla carrozzeria? “Una cosa inaudita - spiega il designer -: Hruska le volle per massimizzare la capienza del vano bagagli”. A chi, invece, si è sempre domandato l’origine della fascetta con il logo Alfa Romeo in corrispondenza del montante posteriore, Giugiaro risponde così: “Lì c’era una saldatura a vista che a un certo punto, per ragioni ecologiche, non fu più possibile realizzare con lo stagno. Fu un espediente estetico per non renderla visibile”.
LA FUNZIONE PRIMA DI TUTTO - Fu “faticoso” ottenere da Hruska un bonus di dieci centimetri davanti al radiatore “per fare il cofano anteriore un po’ più spiovente. Ma - spiega Giugiaro - all’Alfa era normale: ricordo che quando disegnai la 1750 l’ingegner Satta mi fece rifare daccapo tutto il fianco per limare quei 5 millimetri in più che avrebbero diminuito la velocità massima di 1 km/h”. La funzionalità, insomma, veniva al primo posto, e rischiava di ridurre non poco la componente puramente creativa del progetto. “Penso al parabrezza - prosegue il progettista -: io l’avrei voluto più inclinato, ma anche in quel caso prevalsero le esigenze di visibilità”. Un altro aneddoto rimarca l’ossessione per il rigore con cui fu approcciato ogni singolo aspetto della progettazione dell’auto. In realtà, racconta Giugiaro, più nei reparti della Italdesign che in quelli della fabbrica di Pomigliano d’Arco: “La carrozzeria doveva pesare al massimo 200 kg e ci fu concessa una tolleranza di un paio di chili. Quando andammo a Pomigliano, però, scoprimmo che la meccanica, di chili in più rispetto al previsto, ne aveva trenta. Idem per le misure esterne: Hruska veniva a prenderle tutti i venerdì a Moncalieri, ma alla fine in catena di montaggio sforarono di una ventina di millimetri”.
UN SIMBOLO DELLA NOSTRA SOCIETÀ - Imperfezioni che aggiungono una sana dose di calore e colore a un progetto forse troppo ambizioso per essere perfetto. Ma chi la ama alla follia l’Alfasud possiede la sensibilità tecnica che serve a comprenderne a fondo i contenuti innovativi e le straordinarie doti meccaniche, che nulla hanno da invidiare alle grandi Alfa Romeo costruite al Portello e ad Arese. E così ogni difetto, ogni errore, filtrato dal tempo e dalla memoria e dalla passione, passa in secondo ordine: la ruggine, che nei primi anni di produzione, a causa di un processo produttivo inadeguato, aggrediva con spaventosa rapidità le scocche; le ingerenze dei sindacati e della politica, benzina sul fuoco delle lotte operaie che segnarono l’ultima, grande crisi dell’Alfa, la sua fine come azienda di Stato e il passaggio alla Fiat con cui prese avvio la stagione delle privatizzazioni in Italia. Tante storie che s’intrecciano in una storia più grande. Una storia che, nel bene e nel male, appartiene tutti noi.
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