Facciamo il punto sulle pile a combustibile

Tecnologia
25 gennaio 2016

Ha avuto luogo a Napoli la sesta Conferenza Europea sulle pile a combustibile e sulle loro applicazioni: argomento d'attualità per il mondo dell’auto.

PRIMI PASSI NELLO SPAZIO - Le applicazioni delle pile a combustibile (fuel cell) sono molteplici e hanno preso piede con l’evoluzione dei satelliti artificiali che, sempre più carichi di apparati elettronici, necessitavano di sempre maggiori quantità di energia: la pila a combustibile è un eccellente mezzo di conversione energetica, capace di rendimenti più elevati di gran parte di quelli tradizionali a prezzo di livelli di inquinamento minimi. La Conferenza Europea di Napoli ha consentito un poderoso approfondimento della materia grazie al contributo di studiosi non solo italiani ed europei, ma anche nipponici, cinesi e coreani. Limitatissima, purtroppo, la presenza statunitense: un peccato, perché gli Usa restano leader mondiali del settore, oltre che luogo di nascita originale della pila a combustibile, allora concepita  come supporto alla ricerca aerospaziale. Questo, però, non ha reso meno interessante la conferenza, gli estratti delle cui relazioni hanno riempito ben 348 pagine. 
 
IL FUTURO È APPENA INIZIATO - Le relazioni hanno definito un quadro operativo straordinariamente ampio e che, soprattutto, apre prospettive di approvvigionamento energetico eccezionali in tutta una varietà di impieghi e di formulazioni. La pila a combustibile è ben lungi dall’essere giunta al suo picco massimo di evoluzione e la ricerca è intensa in tutti gli aspetti della sua tecnologia, a partire dai materiali per la realizzazione dei componenti fondamentali: la membrana di scambio protonico e i relativi elementi catalitici, l’anodo e il catodo. Tale ricerca è assolutamente primaria in quanto aprirà la strada all’utilizzo di tutta una varietà di carburanti, oltre all’idrogeno che è quello istituzionale e attorno al quale è iniziato lo sviluppo di tutto il concetto. La strada non sarà breve né rapida: se, infatti, la pila a combustibile alimentata a idrogeno opera a temperature agevolmente gestibili, quelle che possono utilizzare, attraverso reforming interno, combustibili alternativi lavorano a temperature nettamente superiori. Alimentata a metano, o a monossido di carbonio, la pila a combustibile deve operare a oltre i 700 C°, e quindi richiede materiali molto speciali per la realizzazione della membrana di scambio protonico, dell’anodo, del catodo e di tutto il resto: non è quindi il caso di parlarne in vista di un impiego nei normali veicoli da trasporto. Ma rimane estremamente positivo lo sviluppo di nuove pile a combustibile, con capacità di includere nel ciclo energetico anche la funzione di reforming, in grado di utilizzare non solo “carburanti” gassosi, come i suddetti metano e monossido di carbonio, ma anche liquidi, come il gasolio. Si tratta, logicamente, di pile a combustibile che non solo operano a temperature molto più elevate di quelle a idrogeno, che sono state le prime e che restano il riferimento con cui confrontare il ciclo energetico delle nuove realizzazioni, ma hanno dimensioni nettamente più rilevanti, quindi sono adatte per impieghi stazionari, quali centrali per la produzione di energia con cui alimentare la rete di una città, oppure per la propulsione navale. Qui la ricerca è veramente a tutto campo perchè, in effetti, la pila a combustibile deve ancora entrare nella sua maturità e agli scienziati resta ancora molto da fare per inserirla in modo definitivo, e perfettamente coerente con le esigenze dell’ambiente, nel ciclo energetico che supporta la nostra vita quotidiana. 
 
 
NON SOLO IDROGENO - Il pilastro centrale, ed estremamente critico, resta la disponibilità di idrogeno in quantitativi e a costi competitivi rispetto a tutti gli altri “combustibili”, anche se qui non si parla di vera e propria combustione, ma di ossidazione fredda. Alla conferenza di Napoli sono stati presi in esame tutti gli aspetti strutturali e costruttivi della pila a combustibile e come rendere ogni componente meno costoso, più duraturo, più affidabile. Quindi si sono esaminate le fonti da cui trarre l’idrogeno: metano, ammoniaca, biogas da produzioni agricole o anche da scarichi industriali e perfino urbani, analizzando inoltre i vari processi che possono portare a conseguire i risultati voluti, dagli elettrocatalizzatori per elettrolisi ad alto rendimento alla colture di batteri e di enzimi. Dalle relazioni è apparso che la “catena” dei metodi di approvvigionamento dell’idrogeno è lunga, complessa e, in quasi tutti i casi, per svolgere il suo compito richiede sostanziose immissioni di energia. Per i ricercatori tedeschi (lo abbiamo sentito anche da fonti Audi) una via percorribile è quella della creazione di stazioni elettrolitiche di dissociazione dell’acqua (che resta la più abbondante e  accessibile fonte di approvvigionamento dell’idrogeno) che utilizzino la corrente elettrica generata da mulini eolici. Secondo tale teoria l’operazione sarebbe ecologicamente corretta in quanto a produrre elettricità provvederebbero le pale, mosse dal vento. La cosa in Germania ha probabilmente più senso, perché la presenza di mulini eolici in quel paese è così estesa da aver finito per sovraccaricare di energia elettrica la rete di distribuzione locale. Ma non tiene conto di due fattori fondamentali. Primo, che l’elettrolisi dell’acqua è un processo energetico in perdita del 5% secco in quanto, se per dissociare la stabilissima molecola dell’acqua dobbiamo impiegare un valore energetico pari a 100, quando andiamo a ricombinare l’ossigeno e l’idrogeno ottenuti l’energia che ne otteniamo è pari a 95, e quindi, comunque, ci perdiamo. Ma dove il bilancio diviene ancor più negativo è nella costruzione, installazione e manutenzione del mega-mulino e del relativo generatore, senza contare che per mettere assieme le enormi pale e il resto della struttura, da qualche parte avremo comunque prodotto CO2, il che va a contraddire quanto la gran parte dei relatori ha costantemente sottolineato focalizzando il discorso sulla necessità di abbatterne la produzione. 
 
ANCHE L’ITALIA DICE LA SUA - Da nessuna parte è però stato menzionato quel processo termo-catalitico che, messo a punto in almeno cinque varianti da parte dei maggiori centri nucleari del mondo, incluso quello italiano di Ispra, presso Varese, porta alla produzione di tutto l’idrogeno che servirebbe per passare dalla società del petrolio a quella, appunto, dell’idrogeno, come “prodotto collaterale” della produzione di energia elettrica (quindi a costo quasi zero), dissociando la molecola dell’acqua che è la vera fonte naturale dell’idrogeno a disposizione sul nostro pianeta. Aggiungiamo che l’idea, ampiamente ricorrente, di estrarre idrogeno scomponendo la molecola del metano appare quanto mai peregrina in quanto il metano è, notoriamente, il combustibile ambientalmente ottimale per il vecchio, caro, rombante (e neppure tanto inefficiente) motore a pistoni: il che, pur nel rispetto di tutte le sacrosante speranze di un passaggio stabile alla propulsione elettrica, rende illogico pensare che l’industria automobilistica mondiale debba mandare a rottamazione miliardi e miliardi di dollari di stampi di fonderia e di macchinari per la realizzazioni di normali motori che, proprio grazie al metano, potrebbero funzionare in maniera ambientalemte molto sostenibile. 
 
 
LAVORI IN CORSO - L’industria ha già fatto la sua parte iniziando, già circa 20 anni fa, la  realizzazione di prototipi di vetture a propulsione elettrica alimentate da pile a combustibile. Lo sviluppo ha progredito in modo positivo, con l’obiettivo di giungere alla produzione di serie quando tutto fosse ben integrato: pile a combustibile ad alta efficienza, cioè compatte e leggere (e c’è ancora da lavorare), e una rete di stazioni di rifornimento adeguatamente consistente. Siamo ancora lontani da tutto questo, e il blocco del nucleare attuato da molti paesi (inclusa l’Italia) allontana in modo drammatico la prospettiva di giungere alla disponibilità di idrogeno in quantitativi e a costi competitivi nei confronti dei prodotti petroliferi, in modo da dare l’avvio alla grande rivoluzione, seriamente, su solide basi tecnico-scientifiche ed economiche. A Napoli, la più significativa connessione fra ricerca e mondo automotive era rappresentata dalla presenza di una Hyundai IX35 (qui sopra) e di una Toyota Mirai (nelle foto e nel video qui sotto), le due vetture a propulsione elettrica alimentata da pila a combustibile che, in qualche modo, possono definirsi in produzione di serie. Ce n’è una terza, che in effetti è stata la prima ad entrare in produzione nel 2009: la Honda FCV Clarity, la cui distribuzione è saggiamente limitata a Giappone e California. A Napoli sono stati presentati anche prototipi di biciclette elettriche con pile a combustibile, come la HyBike di Atena, forse un po’ avanti nei tempi. A questo stadio di sviluppo di tutta la catena di accesso e sfruttamento della tecnologia dell’idrogeno, mandare in produzione una vettura a propulsione elettrica fa venire alla mente il popolare detto “comprare la frusta in attesa di avere il cavallo”. Già oltre 10 anni fa la General Motors aveva realizzato prototipi di vetture a propulsione elettrica alimentata da pile a combustibile che avevano tutte le qualità per diventare modelli di serie. Ma, come sottolineato in uno storico seminario tecnico-scientifico organizzato in occasione del Salone di Detroit del 2008, i ricercatori del gruppo americano sottolinearono che la via realistica alla corretta disponibilità di idrogeno doveva passare per il nucleare, e rinviarono l’evoluzione dei loro prototipi in modelli di serie a una più realistica situazione del “mercato” dell’idrogeno. Può darsi che la disponibilità di vetture alimentate a idrogeno solleciti chi di dovere ad avviare la creazione delle infrastrutture indispensabili per la distribuzione del “vettore energetico universale”, ma è fondamentale stabilire i parametri per procedure di produzione più razionali ed economicamente corrette: il resto è solo demagogia.

 



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Ritratto di Pelide
25 gennaio 2016 - 21:03
Napoli perfetta cornice per questa bufala di tecnologia...finchè non la vedró applicata su larga scala a qualche campo della meccanica ( anche di nicchia) per me rimane un modo per farsi pubblicitá tra ambientalisti spendaccioni.
Ritratto di SR71s
25 gennaio 2016 - 22:29
Il ritardo mentale fatto commento.
Ritratto di Pelide
26 gennaio 2016 - 06:59
Ahh grazie, tu sarai sicuramente un ricco ambientalista con anticipo mentale, dalla grande competenza tecnica sull'uso dell idrogeno nei cocktail.
Ritratto di ducati916
26 gennaio 2016 - 07:55
il futuro. fra vent'anni sara' proibita l'auto col motore a scoppio. Magari potranno circolare solo le storiche, e solo per andare ai raduni.
Ritratto di Pelide
26 gennaio 2016 - 08:35
Probabilmente sí, almeno nei veicoli leggeri. Credo che la rivoluzione possa esserci nelle elettriche o nei neo/biocarburanti. Sull'idrogeno non scommetterei un centesimo: è una tecnologia ormai con una storia ma che ha trovato impiego solo in missili o navette per aeroporti hippy. Se il suo problema sono i pochi punti di rifornimento, perchè non trova impiego nemmeno in quei campi dove il problema non sussiste come per industrie, nei trasporti via ferro, aeronavali ecc..
Ritratto di Porsche
26 gennaio 2016 - 16:54
presentarsi con un'auto.... Comunque secondo me la soluzione più fattibile è quella dell'Audi. Non è vero, come dice al volante, che in germania hanno tanti mulini a vento (è vero come numero di mulini), ma non è vero che per loro va bene o meno. Non è questo il punto. Il punto è che si tratta di energia eccedente la richiesta in quanto prodotta di notte quando la domanda è bassa. A quel punto la devi stoccare. E facendolo sotto forma di gas per me è geniale. Rendimento basso ? Falso, perchè è energia che avresti buttato via..... Poi quel tipo di gas lo metti dentro una UP, A3 Golf a metano, senza cambiare una virgola......
Ritratto di tommaso tampucci
26 gennaio 2016 - 18:16
il tuo ragionamento vale finchè si parla di qualche migliaio di esemplari. se l'obiettivo è una produzione su larga scala quei pochi MW che vengono dalle rinnovabili non sfruttate per una variazione della domanda (es: di notte) diventano trascurabili
Ritratto di Porsche
27 gennaio 2016 - 07:54
bisogna vedere di che auto parliamo. Al momento il gruppo Vw fa auto a metano di piccole cilindrate. La mossa azzeccata sarebbe quella di fare auto piccolissime a metano. Vedremo.

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