SI SOSPETTA IL DUMPING - La Commissione europea ha annunciato l'apertura di una indagine anti-dumping (il dumping è una pratica di vendita in perdita fatta per mettere in difficoltà i concorrenti) sulle importazioni in Europa di auto elettriche cinesi, affidata a Mario Draghi. La comunicazione, fatta dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen durante il discorso sullo Stato dell'Unione, giunge dopo che negli ultimi mesi le importazioni delle auto cinesi avevano evidenziato un’imponente accelerazione. Il Commissario francese al mercato interno, Thierry Breton, aveva già lanciato diversi allarmi, paventando il pericolo di "essere relegati a importatori netti di veicoli elettrici o pannelli solari, sostituendo così la nostra dipendenza dai combustibili fossili con una dipendenza industriale e tecnologica". Le cifre e i fatti sono inquietanti: nel 2022 la Cina ha superato la Germania diventando il secondo esportatore di auto al mondo e anche i produttori europei ora producono auto elettriche in Cina destinate alle esportazioni verso la UE. Breton ha ricordato che: "Nel 2016 abbiamo importato 74.000 automobili dalla Cina, un contingente salito a 200.000 nel 2020 e a più di 500.000 nel 2022: la metà di queste sono elettriche". Se aggiungiamo anche la possibilità di produrre auto cinesi direttamente in Europa, le preoccupazioni salgono (qui per saperne di più).
SFIDA IMPARI - Le preoccupazioni sono state esplicitate chiaramente davanti al Parlamento europeo dalla presidente von der Leyen: “I mercati globali sono invasi da auto elettriche cinesi particolarmente economiche. Il loro prezzo è tenuto artificialmente basso da enormi sussidi statali e questa provoca distorsioni di mercato. Oggi voglio annunciare che la Commissione europea sta avviando un’indagine anti-sovvenzioni sui veicoli elettrici provenienti dalla Cina. L’Europa è aperta alla concorrenza, non a una corsa al ribasso”. L’avvio di quest’indagine si deve anche alle pressioni del governo francese, convinto che che i produttori cinesi di auto elettriche pratichino prezzi anormalmente bassi per conquistare il mercato europeo. Secondo il Ministro dell’Economia francese, Bruno Le Maire, i produttori cinesi di auto elettriche vendono le loro vetture a prezzi inferiori ai costi di produzione grazie ai sussidi statali e alla mancanza di standard ambientali e sociali per stabilimenti e manodopera. Anche il ceo di Renault ha espresso preoccupazione riguardo l’industria europea nei confronti della Cina, esplicitando le diverse condizioni nelle quali si muovono i due apparati produttivi (qui per saperne di più).
PREOCCUPAZIONI NON CONDIVISE - De Meo ha fatto presente che “l'Europa, negli ultimi decenni ha praticamente abbandonato la chimica mentre i competitor cinesi hanno grandi capacità anche nella raffinazione delle materie prime per le batterie: oggi hanno in mano l’80-90% dei materiali, dalle materie prime ai semilavorati. Cina e USA, poi, sovvenzionano progetti industriali, mentre in Europa si sostengono solo quelli legati all’innovazione. Questo è un handicap che si somma al costo dell'energia, che in Europa è il doppio di quello cinese e tre o quattro volte di quello statunitense". La richiesta di Parigi ha però suscitato l’irritazione di altre cancellerie europee, che temono una guerra commerciale con la Cina: la diplomazia tedesca, per esempio, sta opponendo forti resistenze, per paura di andare incontro a ritorsioni. La posta in gioco è alta: il gruppo Volkswagen ha più di 40 siti produttivi in Cina, nati a partire dal 1984, quando nacque la prima joint venture, Shanghai Volkswagen, a seguito di un accordo fra VW e Saic. Nel 1991 è nata un'altra joint venture, la Faw-Volkswagen: l’azienda ha cinque insediamenti produttivi in Cina e ha venduto più di 20 milioni di unità nella sua vita. Legami molto stretti che spiegano la ritrosia tedesca verso questa indagine.
I PERICOLI DI UNA CONCENTRAZIONE - La Cina è attualmente il più grande mercato singolo per Volkswagen e questo ha indotto il Gruppo a un'altra fusione commerciale, questa volta nella ricerca per la guida autonoma, fra la sua sussidiaria software Cariad e Horizon Robotics: la joint venture è il primo hub di ricerca e sviluppo VW non basato in Europa. Anche BMW nel tempo ha aumentato la sua esposizione al mercato cinese, in una quadro di aumento della tendenza per le case europee a produrre nella Repubblica Popolare le auto destinate al mercato del Vecchio continente. Anche Tesla non si sottrae a questo trend: molte delle sue automobili vendute in Europa sono prodotte a Shangai. È in questa cornice di relazioni pericolose che la leader dei Verdi tedeschi e ministra degli Esteri Annalena Baerbock ha fatto il controcanto al cancelliere Olaf Scholz, che al Salone di Monaco aveva tessuto le lodi del settore automotive della Germania dichiarando "Non conosco quasi nessun altro luogo al mondo che disponga di un tale know-how nella produzione automobilistica, una tale densità di fornitori e di piccole e medie industrie leader sul mercato mondiale, e tanta ricerca applicata nel campo della automobili come la Germania”. La Baerbock ha invitato l'industria automobilistica a ”ridurre la dipendenza dai singoli mercati", un’allusione all'industria automobilistica tedesca che vende quasi un terzo dei suoi veicoli in Cina e dipende anche dai fornitori cinesi per molte materie prime e componenti, come le batterie.
PROGETTO A LUNGO TERMINE - Il Ministro ha spronato il settore: "Abbiamo un'opportunità per imparare dai vecchi errori, ridurre la dipendenza dai singoli mercati e diventare leader nella mobilità a impatto climatico zero. Per la Germania, paese nel quale l'industria automobilistica rappresenta gran parte della creazione di valore, non si tratta solo di una questione economica, ma anche di sicurezza nazionale". La Cina sta raccogliendo i frutti di una politica che ha visto nei veicoli elettrici la possibilità di azzerare l’esperienza e il prestigio dei motoristi tradizionali, dai pionieri europei e nordamericani a quelli giapponesi e coreani. Il paese del Dragone è attualmente il mercato principale delle auto a batteria: nel 2022 il 60% di questi veicoli l'anno scorso è stato venduto lì. Secondo l'Agenzia Internazionale dell'Energia - IEA più della metà delle auto elettriche circolanti nel mondo sono in Cina. Secondo la società di ricerca Jato Dynamics il prezzo medio di un veicolo elettrico in Cina nel primo semestre del 2022 è stato di 31.829 euro, rispetto ai 55.821 euro dell’Europa e ai 63.864 euro negli Stati Uniti. I ricercatori hanno scritto che "gran parte del successo della Cina nel promuovere la diffusione dei veicoli elettrici è da attribuire alla capacità del settore di produrre veicoli a prezzi accessibili per le masse".
POCO TEMPO PER RIMEDIARE - È chiaro che le condizioni di lavoro negli stabilimenti cinesi e il prezzo delle materie prime (estratte magari con criteri di sostenibilità ambientale molto più lasche rispetto a quelle occidentali) sono molto differenti rispetto a quelli europei. In ogni caso l’industria automobilistica europea - secondo ACEA essa impiega 13 milioni i lavoratori, il 7% del totale, e genera ogni anno un gettito fiscale di circa 375 miliardi di euro - rischia molto. Servono contromisure mirate e rapide da parte delle istituzioni della UE, pena la progressiva estinzione di interi settori dell'automotive europeo. La Commissione Europea ha lanciato piani industriali, quali il Critical Raw Materials Act e il Net-Zero Industry Act, per ridurre la dipendenza dai materiali e dall’energia importata, ma il loro effetto si dispiegherà nel tempo. Le batterie, per esempio, si riciclano, liberando materiali per altre celle, e si stanno muovendo iniziative minerario europee ma ci vorrà omunque del tempo per avviare questo “volano” virtuoso. Occorrerebbe però una visione comune del problema e il fatto che gli Stati non vadano nella stessa direzione complica ulteriormente le cose.
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