01
2022
gennaio 2022
Editoriale pubblicato su alVolante di

E in Norvegia l’automobile elettrica presenta il “conto”

DUE MILIARDI DI EURO. È il buco aperto nelle casse statali della Norvegia dalla riduzione degli introiti fiscali sugli odiatissimi carburanti di origine fossile, come benzina e gasolio. Due miliardi non sono pochi in un Paese di 5 milioni di abitanti, e vanno addebitati alla scelta di puntare tutto sull’elettrico. Una strategia di ampio respiro, avviata anni fa. Tra bonus vari, tassazione e pedaggi ridotti, parcheggi gratuiti eccetera, in Norvegia le auto “a pila” godono di un trattamento di favore unico al mondo. Che ne ha consentito l’irresistibile ascesa presso consumatori attenti sì all’ambiente, ma pure al portafogli: un’incentivazione tanto spinta le rende superconvenienti. Ridotte al rango di dinosauri in via di estinzione (dal 2022 non saranno più in vendita), le auto a benzina e le diesel valgono il 10% della domanda, contro il 70% delle elettriche.

PECCATO, PERÒ, CHE SIANO I PROPRIETARI delle vetture tradizionali a versare le accise sui carburanti ai rifornimenti: quelle tasse che, come ben sappiamo anche noi italiani, contribuiscono a tenere in piedi un Paese. Ora si dovrà correre ai ripari, rivedendo un sistema di agevolazioni insostenibile e inasprendo la pressione fiscale sui modelli “alla spina” (bollo più pesante e, forse, superbollo per le versioni di lusso). A Oslo, in realtà, sono soltanto in anticipo di qualche anno sul resto del Vecchio Continente. Dove ci si troverà presto ad affrontare il tema, se dovesse passare la proposta della Commissione europea di mettere fuorilegge il motore a combustione interna dal 2035.

SOLO UN PROBLEMA TRA I TANTI connessi alla transizione energetica? Può darsi. Basta sapere che c’è anche questo nel percorso verso il mondo a emissioni zero. Una strada non condivisa da tutti: per gli stretti tempi d’attuazione, le inadeguate o inesistenti infrastrutture di ricarica, l’incertezza sulla reale pulizia dell’energia necessaria per muovere milioni di veicoli, i tanti posti di lavori destinati a sparire. Se ne è avuta conferma alla Cop26 di Glasgow, dove solo sei costruttori (la cinese Byd, Ford, GM, Jaguar Land Rover, Mercedes e Volvo) hanno aderito alla dichiarazione d’intenti, non vincolante, per fermare la produzione delle vetture con motore termico entro il 2040 (cinque anni prima nelle zone più ricche, come appunto l’Europa). Contrari, fra gli altri, anche i rappresentanti di Stati come la Germania e l’Italia. Il messaggio lanciato alla Commissione europea è chiaro: una svolta epocale come questa richiede tempo e qualche riflessione in più.

GuidoCostantini



Aggiungi un commento