SE CHIEDETE AI TOP MANAGER delle case quali caratteristiche deve avere la loro vettura ideale, vi risponderanno con una parola: “premium”. Un’auto, cioè, che garantisca alti guadagni: esclusiva, costosa, desiderata. Ma anche chiedendo alla gente comune di descrivere l’auto dei suoi sogni, la risposta non sarà molto diversa. L’appeal del modello “di prestigio”, per il quale valga la pena spendere qualcosa di più, sembra non soffrire troppo una situazione generale piena di incertezze. Attenzione, non parliamo di supercar di lusso come Ferrari, Porsche o Lamborghini, meno esposte alle crisi economiche perché riservate a una ristretta élite internazionale di milionari.
QUANDO SI PARLA DI PREMIUM (e oggi succede spesso) ci si riferisce soprattutto ad Audi, BMW e Mercedes, che presidiano il settore del “lusso accessibile”, dove la guerra del prezzo non esiste e, come dicevamo, i margini sono alti. Mentre sulle automobili “di massa” vendute in Europa si perde, o si guadagna poco. Logico, quindi, che anche chi non è in grado di offrire una gamma premium, vorrebbe farlo. Trasformando in un marchio vero e proprio la linea DS, come ha annunciato la Citroën. O riesumando la buonanima di Vignale, carrozziere torinese degli anni 50 e 60, che la Ford (proprietaria del marchio dal 1973) vuole utilizzare per le versioni più accessoriate di alcuni modelli (il primo sarà la Mondeo). O, ancora, inventandosi la griffe Initiale Paris, che sa tanto di lusso alla francese e con la quale, proprio al Salone di Parigi, la Renault ha confermato che identificherà la sua gamma di punta.
SCELTE NON PRIVE DI INCOGNITE. È probabile che a chi compra il made in Germany non basti uno “spray di esclusività” applicato a modelli di massa: per cambiare (ammesso che poi lo faccia davvero), dovrà poter scegliere in una gamma specifica, e costruirla richiede investimenti notevoli. Come quelli sostenuti da Nissan e Toyota per Infiniti e Lexus, i rispettivi marchi premium apprezzati e conosciuti dopo anni di impegno, durante i quali i flop non sono mancati. La Ford non è riuscita a rilanciare la Jaguar (che, ceduta, ora va a gonfie vele), lo stesso è accaduto alla GM con la Saab (venduta e poi fallita), e anche della gestione del marchio Lancia da parte di Fiat-Chrysler si può dire tutto tranne che sia un successo. Ma dal gruppo FCA (che ha lavorato bene con la Maserati) ci si aspetta ancora il ritorno in grande stile dell’Alfa Romeo. Che il 2015, con la Giulia, sia l’anno buono?
Guido Costantini