UNA NCESSITÀ - Il business della mobilità elettrica su gomma, vale a dire autovetture, veicoli commerciali e camion alimentati a batteria, richiede una catena del valore efficiente, e la più corta possibile, per poter cogliere appieno i vantaggi di questa soluzione tecnica che punta a semplificare i veicoli e ridurre l’impatto ambientale. La soluzione più logica per conseguire questi obiettivi è data dalla realizzazione di centri di produzione delle batterie per autotrazione ad alto e altissimo voltaggio nelle vicinanze degli stabilimenti di produzione dei veicoli stessi ed è questo ciò a cui hanno pensato i top manager di Britishvolt quando hanno avviato il progetto della prima gigafactory britannica nell’ottica di servire non solo i marchi di prestigio e di lusso locali, come Bentley, Rolls-Royce, Aston Martin e Lotus, ma anche le fabbriche dei brand generalisti giapponesi, come Honda, Nissan e Toyota, senza contare Mini, appartenente al BMW Group.
LA BREXIT FRA LE CAUSE - Probabilmente il fattore critico, in questi anni, è rappresentato dalla Brexit, che ha scombinato i piani di chi puntava a creare un’industria automobilistica inglese “global” in termini di mercati di sbocco ma “local” quanto a centri di produzione. Così, gli sforzi del Paese per trasformarsi in un paradiso dell'auto pulita - basati su un secolo di know-how automobilistico e sull'afflusso di major straniere - si stanno arenando, il che sta riducendo la domanda di batterie per veicoli elettrici prodotti localmente. Tanto per capire la gravità del problema: Mini produrrà in Cina la sua prossima hatchback elettrica, mentre Nissan riceve le batterie dei suoi modelli elettrici prodotti a Sunderland dalla cinese Envision, che ha realizzato uno stabilimento in Inghilterra in grado di soddisfare le sue necessità. Honda ha chiuso il suo stabilimento di Swindon l’anno scorso, mentre Tesla ha puntato su Berlino per la sua fabbrica europea. Secondo il Faraday Institution, un gruppo di ricerca sulla mobilità pulita, il Regno Unito dovrà costruire cinque gigafabbriche entro il 2030 solo per soddisfare le esigenze della restante industria nazionale che sta diventando elettrica; entro il 2040, ne serviranno dieci.
UNA STARTUP SOLO SULLA CARTA - Britishvolt, lanciata nel 2019, era diventata un progetto di mobilità pulita di punta per un Paese che mirava a mantenere la sua posizione di hub automobilistico globale. Ma l'azienda non aveva alcun prodotto né un piano di vendita serio a sostegno della progettazione grafica di uno stabilimento da 3,8 miliardi di sterline nel Northumberland, in Inghilterra (nella foto sopra), che avrebbe potuto impiegare 3.000 persone entro la fine del decennio per produrre 300.000 celle all'anno. L'azienda non è riuscita ad assicurarsi un investimento significativo per continuare, e martedì è stata ufficialmente messa in amministrazione controllata. "Questa notizia è un duro colpo, soprattutto per i 300 dipendenti di Britishvolt", ha dichiarato Mike Hawes, responsabile della lobby industriale Society of Motor Manufacturers and Traders.
E IN ITALIA? - Storia e destino simili per Italvolt, la divisione italiana della stessa Northvolt che ha creato Britishvolt? Italvolt punta a realizzare una gigafactory nell’ex-sede della Olivetti a Scarmagno, tra Torino e Ivrea, ma chi saranno i clienti quando, secondo i programmi, nel 2024 inizierà la produzione? Forse Iveco, forse Piaggio, forse Maserati. Improbabile che Stellantis, con le produzioni localizzate principalmente in Francia, Spagna e Portogallo, decida per una catena del valore lunga, per giunta in un Paese come l’Italia con alto costo del lavoro e alta conflittualità sindacale, quando la tendenza attuale è per produrre tutto in casa per evitare “colli di bottiglia” specie in un contesto di forti tensioni socio-politiche come quelle attuali.