TOCCA AL CANADA - Chiuso il capitolo fusione Fiat-Chrysler, per Sergio Marchionne l’attuale patata bollente riguarda il Canada, suo paese d’adozione ma soprattutto sede di due importanti stabilimenti della Chrysler (Windsor e Brampton, al quale si riferiscono le foto). In uno vengono fabbricate le monovolume, nell’altro le berline di grandi dimensioni. Entrambi necessitano di importanti investimenti: 1,75 miliardi di euro nel primo e 1 miliardo nel secondo. Ma ci sono incertezze circa il fatto che questi ultimi vengano effettuati.
O AIUTI O ADDIO - La settimana scorsa Marchionne ha fatto presente che a fronte degli interventi da compiere, parecchi altri paesi sono disponibili a mettere sul piatto sostanziosi contributi o a fondo perduto a tasso agevolato. Per cui, ha sostenuto Marchionne rivolgendosi in pratica alle autorità canadesi, se in Canada non ci saranno gli aiuti adeguati per gli investimenti, è possibile che le fabbriche vengano spostate altrove, in altri Stati.
IL BRASILE CI METTE I SOLDI - Tra i paesi potenziali sede delle due produzioni c’è il Brasile, dove recentemente per la fabbrica Fiat di Pernabuco il sistema bancario pubblico brasiliano è intervenuto con finanziamenti a tassi agevolati per oltre l’85% dell’investimento. Una condizione molto allettante.
DUBBI CANADESI - Questo mentre in Canada, la Chrysler si aspetta 700 milioni di dollari canadesi, pari a circa 450 milioni di euro, ma il governo di Ottawa ha stanziato solo 500 milioni di dollari canadesi. Si tratterebbe dunque di aumentare l’esborso, ma ci sono perplessità che vanno al di là del semplice ammontare finanziario. In pratica ci sono dubbi che quanto messo a disposizione dal Canada sia poi effettivamente impiegato per potenziare le strutture produttive canadesi, e non piuttosto il centro operativo del gruppo a Detroit.
RISPOSTE ENTRO MARZO - La Chrysler si sarebbe data tempo fino alla fine di marzo per chiudere la vicenda. Dopo di che si prenderebbero in concreta considerazione le altre possibilità, anche se ci sarebbero non piccoli problemi a gestire il passaggio da uno stabilimento all’altro per non far venir meno l’approvvigionamento dei mercati.
AIUTI PUBBLICI O NO? - Di primo acchito la vicenda non tocca l’Europa, ma… Visto di qua dell’Oceano la vicenda si presta ad altre considerazioni. A proposito di aiuti pubblici l’industria europea deve fare i conti con le normative comunitarie che non consentono contributi alle aziende se non motivati con precise e chiare condizioni. Ma nel mercato ormai globalizzato, compresa l’Europa, la stessa industria europea se la deve vedere - e spesso ne esce male - con la concorrenza che viene da altre realtà dove gli aiuti pubblici non devono rispettare norme così restrittive come quelle comunitarie europee. Tra i volti della globalizzazione da valutare e probabilmente da regolare ci sono anche questi problemi.