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2020
gennaio 2020
Editoriale pubblicato su alVolante di

La “dura legge” dell’elettrico vuole meno posti di lavoro

CHE NON ESISTANO RIVOLUZIONI A COSTO ZERO ormai comincia a essere chiaro, con i comunicati delle case automobilistiche che sembrano bollettini di guerra. La rivoluzione di cui parliamo è quella dell’auto elettrica, le vittime sono i lavoratori dell’industria tradizionale che ci rimetteranno il posto. L’elenco dei fronti aperti è lungo e variegato, tiene insieme gruppi molto diversi per storia, caratteristiche di prodotto, dislocazione geografica. Dalla Honda, che lo scorso febbraio ha annunciato la chiusura dello stabilimento inglese di Swindon (3500 posti di lavoro) nel 2021, precisando che la decisione non ha a che fare con la Brexit, ai quasi 10.000 esuberi a testa di Audi e Mercedes delle ultime settimane. Un piano, quello dei due marchi tedeschi, da attuarsi rispettivamente entro il 2025 e il 2022 senza licenziamenti in Germania, ma puntando su pensionamenti e uscite volontarie.

IN MEZZO C’È IL CASO FORD, con il taglio di 12.000 posti di lavoro (pari al 20% del totale) nel Vecchio Continente, dove il colosso di Detroit perde quattrini da tempo, e quello della GM, circa 4000 addetti in meno per la chiusura di alcune fabbriche tra Usa e Canada. Alla BMW, invece, si è trovato l’accordo con i sindacati: nessun licenziamento (erano 6000 i posti a rischio) ma rinuncia ai bonus da parte dei dipendenti. Non manca la Volkswagen, che per riorganizzare i processi di produzione si alleggerirà di 4000 lavoratori entro il 2023, assumendone, però, duemila da destinare alla innovation technology, settore-chiave nelle aziende di oggi.

ANCHE PER L’AUDI SI PARLA DI 2000 ASSUNZIONI riservate a servizi digitali e auto elettrica. La sproporzione con i tagli di personale è evidente. D’altronde, questa sfida richiede investimenti onerosi e porta alla semplificazione del prodotto. Una vettura a batteria è meno complessa di un analogo modello con motore termico. E meno componenti significa meno lavoratori: una dura legge che interessa tutta la filiera. Ne faranno le spese anche i riparatori. Ma intanto sulla graticola sono i fornitori di componentistica. Le notizie preoccupanti che arrivano dalle fabbriche di Pratola Serra (-30% nella produzione dei diesel del gruppo FCA) e di Modugno (620 lavoratori a rischio nell’impianto della Bosch che realizza le pompe common-rail) ci dicono quanto sarà dolorosa la transizione. Chissà se ne eravamo coscienti quando abbiamo imboccato la strada “verde”, abbandonando quella del diesel “brutto, sporco e cattivo”.

Guido Costantini



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