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Il fondo Elliott all’attacco dell’attuale gestione Hyundai

11 maggio 2018

Il fondo d’investimento americano voterà contro il piano di ristrutturazione proposto dall'attuale management del gruppo Hyundai.

Il fondo Elliott all’attacco dell’attuale gestione Hyundai

SCONTRO IN VISTA - Il fondo di investimento americano Elliott Management non è alla ribalta soltanto per il suo ingresso nella italiana TIM (dopo essere entrato nell’Ansaldo e indirettamente nel Milan). In queste ore si parla di Elliott a proposito del gruppo Hyundai, quinto costruttore automobilistico al mondo. Ai primi di aprile Elliott aveva suscitato sorpresa rivelando di aver investito oltre un miliardo di dollari in azioni di società del gruppo Hyundai (Hyundai Motor, Kia Motor e Hyundai Mobis, la società della componentistica del gruppo). Adesso, nelle scorse ore, Elliott ha fatto sapere che nell’assemblea del 29 maggio voterà contro la proposta di ristrutturazione preparata dall’attuale management, espressione della famiglia Chung, azionista di riferimento della società coreana. Dichiarando ciò il fondo Elliott ha anche sollecitato gli altri azionisti a seguire il suo esempio. In pratica si tratta di un tentativo volto al rovesciamento degli equilibri con passaggio del controllo della società dalla famiglia Chung alla Elliott.

UN LABIRINTO PRO CHUNG - Al centro di tutto parrebbe esserci la successione all’ottantenne Chung Mong-koo, figlio del fondatore della Hyundai e al vertice della società dal 1990. Chung Mong-koo deve avere problemi di salute dal momento che da parecchio tempo non compare più in pubblico. A questa lettura basata solo sulla questione della successione alla guida del colosso industriale coreano se ne accompagna un’altra più articolata e profonda. Sotto il profilo societario Chung Mong-koo ha sempre operato in maniera poco trasparente, creando una ragnatela di rapporti incrociati tra le varie società del gruppo, per cui non è facile avere chiara la struttura del gruppo. Basti dire che Chung Mong-koo detiene il 6,96% della Hyundai Mobis (la società usata dalla famiglia Chung per controllare la nebulosa societaria del gruppo). A sua volta la Hyundai Mobis possiede il 20,78% di azioni della Hyundai Motor, a cui fa capo il 33,88% della Kia Motor, la quale a sua volta detiene il 16,88% della Hyundai Motor, e così continuando per le varie realtà del colosso di Seoul.

SCARSA TRASPARENZA - Il fondo Elliott sostiene che proprio questa mancanza di chiarezza nella struttura societaria e nell’azionariato del gruppo è all’origine delle mancate performance economiche della Hyundai, oltre che allontanare gli investitori, che non riescono a comprendere il vero profilo del gruppo. Va detto che critiche e sollecitazioni analoghe a quelle della Elliott, sono avanzate dallo stesso governo di Seoul e dall’Autorità della concorrenza. La realtà è comunque che la casa coreana nell’ultimo anno ha visto calare i propri risultati (utile in testa), anche in seguito alle variazioni dei cambi e alla contrazione del 40% delle vendite in Cina. A questa situazione, l’attuale management guidato da Chung Mong-koo ha risposto con un piano di ristrutturazione societaria, in, ma evitando di semplificare l’intricata “mappa” delle società del gruppo.

UNA QUESTIONE DI SCARSI PROFITTI ­- Ciò spiega perché il fondo Elliott ha emesso un comunicato in cui dichiara di apprezzare l’intento del management di modificare la situazione, ma al tempo stesso giudica assolutamente insufficiente quanto previsto. In particolare ritiene il piano “sbagliato nelle sue premesse” e che “il progetto di acquistare azioni proprie per poi annullarle è insufficiente per far acquisire alle azioni un valore che sia redditizio per gli azionisti”. La frase mette il dito sulla piaga: quella dei rendimenti bassi delle azioni Hyundai. E del resto conferma di questo aspetto sono le dichiarazioni dell’attuale management con le quali si descrivono le misure proposte all’assemblea come “uno strumento per aumentare l’utile per gli azionisti”. Dunque il problema è la redditività del gruppo e l’utile che riesce a produrre per gli azionisti. Elliott è un fondo specialista nel far crescere i rendimenti. Le sue partecipazioni, che non sono mai da spettatore ma da attivista danno rendimenti molto elevati e il fondo è addirittura descritto come “avvoltoio” per la capacità di intervenire quando le situazioni sono difficili per costringere il management a scelte gradite agli azionisti che vedono la prospettiva di maggiori profitti. Appuntamento al 29 maggio.



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Ritratto di Giuliopedrali
11 maggio 2018 - 21:06
Pazzesco! So anche che un grande fondo di investimento coreano, ha comprato una delle più importanti aziende specializzate nelle più moderne tecnologie, dalla guida autonoma all'elettrico. E questa azienda è austriaca.
Ritratto di impala
11 maggio 2018 - 22:32
... quando si pensa al orgoglio Italiano chè era la Fila di Biella, che è ormai una proprieta Coreana ... a questo punto vediamo se gli Americani sono piu furbi di noi
Ritratto di IloveDR
12 maggio 2018 - 10:07
3
questo fondo Elliott è la nuova arma di distruzione di massa statunitense...nella italiana TIM ha fatto fuori i francesi di Bollorè, ora si accinge a distruggere l'auto come l'abbiamo sempre conosciuta, gli alti rendimenti si hanno con Suv e alto di gamma
Ritratto di Fr4ncesco
12 maggio 2018 - 12:54
2
Beh i francesi erano a loro volta dei mascalzoni come quello di Vivendi, comunque concordo che la finanza è deleteria per il mondo dell'auto badando esclusivamente sui prodotti più profittevoli. Di questo andazzo ci ritroveremo solo un paio di SUV di massa per casa.
Ritratto di impala
13 maggio 2018 - 06:38
vero ... i vari vivendi, bernard arnault, bollore, pinault, hanno fatto un OPA sull' Italia, quando si vede che alcuni dei piu grandi marchi di prestigio Italiano sono stato presi dai Francesi.
Ritratto di Agl75
13 maggio 2018 - 10:46
Tipico commento da titolo di studio “patente B”
Ritratto di andrearocca
12 maggio 2018 - 14:00
Ci sono in giro troppi soldi che non sanno più dove investirli direi di ridistribuirli e risolto il problema hihi
Ritratto di Abacus
14 maggio 2018 - 16:08
Idee chiare e distinte. La pensata di ricomprare azioni proprie per concentrare il brodo del capitale proprio confligge con l’idea guida della cultura industriale, di accelerare lo sviluppo industriale ma non finanziaro di qualsiasi impresa, mettendo a a leva risorse proprie e poi con l’aggiunta di altre prese a prestito nel parco buoi degli obbligazionisti, che come sempre ci rimettono con l’illusione quasi infantile di lucrare interessi. L’impresa è come una civiltà che se rimane stabile, muore. (Per via dì’esempio, l’immobilità bizantina e anche l’immobilita cinese imperiale hanno prodotto la morte di due grandi civilità.) Il fondo d’investimento procede con logica opposta, di operare con un eccesso di movimento, e dunque meriterebbe di uscire vincitore. Il punto scriminante è un altro, che la finanza non crea ricchezza, ma la sposta. In senso figurato, si usa dire che Wall Street - la casa della finanza - non può prescindere da Market Street, dove la fiumana della produzione industriale viene ributtata sul banchi di vendita. In parole corrive, il valore dei beni messi sul mercato non viene sempre interpretato correttamente dalle stripes che scorrono veloci sui tabelloni elettronici della prima Borsa Valori del mondo. La chiave del problema sta nel valore istantaneo della carta moneta, e su questo punto chi scrive non ha lo zoccolo sapienzale per suggerire il tasso di scambio vantaggioso tra una certa moneta e una certa azienda. Sulle speculazioni in borsa sono falliti dei premi Nobel, e il massimo sapiente di tutti i tempi, un tale Keynes - che fu il maestro di color che sanno - dovette chiede un prestito al padre e ai suoi sodali. Andando indietro nel tempo, il conte di Cavour perse l’astronomica cifra di un milione di lire scommertendo in borsa sulla guerra franco prussiana. Il Nostro non aveva sbagliato la previsione, ma il timing, che fu l’anno 1860. Diverso destino toccò alla contessa di Castiglione, che fu una donna di fulgente bellezza. Stando lungamente in posizione orizzontale, la coltissima e intelligentissima Signora ottenne informazioni cruciali per accumulare un patrimonio tale da consentire ancora una rendita agli eredi dopo quasi duecento anni di tasse. Nel caso Hyundai, per noi umani il suo destino sta sul grembo degli dei. Giro a tutti i lettori la raccomandazione di Warren Buffett: : “Non ti mettere mai in cose che non capisci bene”. Basta che ci sia la salute! Buona fortuna!
Ritratto di Abacus
14 maggio 2018 - 16:09
Idee chiare e distinte. La pensata di ricomprare azioni proprie per concentrare il brodo del capitale proprio confligge con l’idea guida della cultura industriale, di accelerare lo sviluppo industriale ma non finanziaro di qualsiasi impresa, mettendo a a leva risorse proprie e poi con l’aggiunta di altre prese a prestito nel parco buoi degli obbligazionisti, che come sempre ci rimettono con l’illusione quasi infantile di lucrare interessi. L’impresa è come una civiltà che se rimane stabile, muore. (Per via dì’esempio, l’immobilità bizantina e anche l’immobilita cinese imperiale hanno prodotto la morte di due grandi civilità.) Il fondo d’investimento procede con logica opposta, di operare con un eccesso di movimento, e dunque meriterebbe di uscire vincitore. Il punto scriminante è un altro, che la finanza non crea ricchezza, ma la sposta. In senso figurato, si usa dire che Wall Street - la casa della finanza - non può prescindere da Market Street, dove la fiumana della produzione industriale viene ributtata sul banchi di vendita. In parole corrive, il valore dei beni messi sul mercato non viene sempre interpretato correttamente dalle stripes che scorrono veloci sui tabelloni elettronici della prima Borsa Valori del mondo. La chiave del problema sta nel valore istantaneo della carta moneta, e su questo punto chi scrive non ha lo zoccolo sapienzale per suggerire il tasso di scambio vantaggioso tra una certa moneta e una certa azienda. Sulle speculazioni in borsa sono falliti dei premi Nobel, e il massimo sapiente di tutti i tempi, un tale Keynes - che fu il maestro di color che sanno - dovette chiede un prestito al padre e ai suoi sodali. Andando indietro nel tempo, il conte di Cavour perse l’astronomica cifra di un milione di lire scommertendo in borsa sulla guerra franco prussiana. Il Nostro non aveva sbagliato la previsione, ma il timing, che fu l’anno 1860. Diverso destino toccò alla contessa di Castiglione, che fu una donna di fulgente bellezza. Stando lungamente in posizione orizzontale, la coltissima e intelligentissima Signora ottenne informazioni cruciali per accumulare un patrimonio tale da consentire ancora una rendita agli eredi dopo quasi duecento anni di tasse. Nel caso Hyundai, per noi umani il suo destino sta sul grembo degli dei. Giro a tutti i lettori la raccomandazione di Warren Buffett: : “Non ti mettere mai in cose che non capisci bene”. Basta che ci sia la salute! Buona fortuna!