PREZZI ALTI… PER FORZA - Il prezzo dei carburanti alla pompa è ancora una volta al centro dell’attenzione e delle cronache giudiziarie. Il nuovo episodio ha come teatro il Tribunale di Varese, dove il 5 marzo scorso il Giudice per le indagini preliminari ha respinto la richiesta di sequestro cautelare di documenti contabili e amministrativi relativi ad alcune compagnie petrolifere, in merito a una ipotesi di illeciti compiuti per mantenere alti i prezzi dei carburanti, ai danni dei consumatori.
SETTE “SORELLE” - Le compagnie verso cui era rivolta la richiesta di sequestro sono: Shell Italia, Tamoil Italia, che hanno sede a Milano, e Eni, Esso Italia, Totalerg, Kuwait Petroleum Italia, Api, che hanno sede a Roma. La richiesta di sequestro era stata sottoposta al Gip dal Pubblico Ministero che l’anno scorso aveva ricevuto dal Codacons (Coordinamento delle associazioni per la difesa dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori) l’esposto con istanza di sequestro. Identica iniziativa il Codacons aveva preso presso numerosi altri uffici giudiziari su tutto il territorio nazionale.
TROPPI ESPOSTI: RISCHIO POLVERONE - Proprio questo modo di procedere del Codacons viene criticato dal Gip nel suo decreto con cui respinge l’istanza di sequestro. Secondo il giudice essa è “foriera di sovrapposizioni e inefficienze nelle indagini”. Il rischio sottolineato dal decreto è che uffici giudiziari agiscano senza certezze circa la propria competenza sulla materia delle indagini. In proposito, lo stesso Gip sottolinea come le ipotesi illecite su cui si fonda la richiesta di sequestro “non possono che ricondursi agli organi rappresentativi e decisionali di primo livello delle società pretrolifere coinvolte, che agiscono nelle rispettive sedi legali”, (Roma e Milano). Ciò detto, lo stesso decreto contiene riferimenti concreti all’attività investigativa condotta nell’ultimo anno dalla Guardia di Finanza su incarico del Pubblico Ministero per verificare i contenuti e l’ipotesi avanzata dal Codacons. Il quadro che ne risulta è che “esistono indizi di commissione dei reati da parte dei legali rappresentanti, componenti di consigli di amministrazione e dirigenti delle compagnie petrolifere citate, oltre a soggetti non compiutamente identificati”.
AUTENTICO ATTO D’ACCUSA - Un po’ più in dettaglio, il Pubblico Ministero ritiene ipotizzabile la violazione quantomeno degli articoli 501-bis (Manovre speculative su merci) e 640 (Truffa aggravata) del Codice penale. Ciò “per avere compiuto manovre speculative ed aver posto in essere artifici e raggiri, consistenti nell’aver volontariamente livellato, concordandoli, salvo modesti spostamenti, i prezzi dei prodotti petroliferi alla pompa, in modo da minimizzare le possibilità di minor guadagno derivanti dall’applicazione dei principi della concorrenza sul mercato nazionale, quindi con danno economico di un numero indistinto e indeterminabile di fruitori del servizio - indotti in errore, ma in ogni caso privi di reale possibilità contrattuale, nella considerazione che le principali compagnie petrolifere agiscono in regime di oligopolio”.
COSA FARANNO A ROMA E MILANO? - Si tratta ora di vedere quali saranno gli sviluppi della vicenda; in particolare come sarà recepita dalle Procure della Repubblica di Roma e Milano, a cui dovranno essere trasmessi gli atti per competenza, dopo il respingimento per assenza di competenza territoriale da parte del Tribunale di Varese.