MARCIA INDIETRO – “Mi sono sbagliato”. Alla fine, il presidente della Renault, Carlos Ghosn (nella foto in alto), l’ha dovuto ammettere in diretta tv: la vicenda di spionaggio industriale che ha portato al licenziamento di tre top manager della casa francese era una bufala. Tante scuse a Michel Balthazard, Bertrand Rochette e Mathieu Tenenbaum, i dirigenti accusati di aver passato alla concorrenza cinese segreti sullo sviluppo delle batterie per le auto elettriche. Ghosn ha assicurato che saranno abbondantemente indennizzati e reintegrati (ma non è che i tre “sgomitino” per tornare in azienda). Convocato un consiglio d’amministrazione straordinario per discutere della faccenda, si è inoltre deciso di tagliare i bonus di retribuzione ai dirigenti coinvolti nella vicenda. Questo vuol dire che lo strapagato presidente rinuncerà a qualcosa come 1,6 milioni.
NESSUNO SI DIMETTE – Alle dimissioni, tuttavia, Ghosn non ci pensa. E dire che lo scorso 23 gennaio è stato lui, sempre in diretta televisiva, a dirsi praticamente certo della colpevolezza dei tre dirigenti. Acqua passata. Il presidente ha perfino respinto le dimissioni del suo vice, Patrick Pélata, che si era dichiarato disposto ad assumersi la responsabilità dell’errore: “Non voglio aggiungere crisi a crisi”, si sarebbe giustificato Ghosn. A cambiare le carte in tavola, il colpo di scena dello scorso fine settimana, che ha portato all’arresto, con l’accusa di truffa, di Dominique Gevrey, numero due della sicurezza della Renault (coinvolto anche Marc Tixador, sempre della security interna): la fonte anonima che avrebbe fornito le soffiate semplicemente non esisterebbe e i soldi versati per ottenere le informazioni sarebbero finiti nelle sue tasche. Resta da vedere quale sarà la reazione del governo francese, che controlla la casa con una quota del 15% e che, per colpa di questa vicenda, ha sfiorato l’incidente diplomatico con la Cina.












