Il futuro dell’automotive è incerto. È quanto emerge dalla nuova edizione dello studio annuale condotto dall’ANIASA (Associazione Nazionale Industria dell’Autonoleggio, della Sharing mobility e dell’Automotive digital) e Bain & Company, intitolato “Navigare nella nebbia. Il futuro incerto dell’automotive”. Lo studio fa una fotografia piuttosto dettagliata di un settore, quello dell’auto, alle prese con un delicato contesto geopolitico, con normative sempre più articolate e restrittive. Dinamiche che incidono direttamente su un consumatore, che oltre a essere disorientato, ha perso buona parte della sua capacità di acquisto a causa dell’incremento vertiginoso dei prezzi delle vetture.
Secondo il report dell’ANIASA, dopo un lungo ciclo positivo che, tra il 2001 e il 2017, aveva fatto registrare un tasso di crescita annuo del +3,3%, il mondo dell’auto mondiale si trova oggi in una fase di stagnazione strutturale. Dal 2019 la ripresa economica globale non si è tradotta in un ritorno ai livelli produttivi pre-pandemici. Eventi come la “crisi” dei semiconduttori, che hanno comportato i colli di bottiglia nella logistica, e l’incertezza sui mercati hanno contribuito a un rallentamento generalizzato. E le prospettive future sono tutt’altro che rosee. Secondo lo studio, entro il 2030 il settore crescerà appena dello 0,2% annuo.
Le grandi economie industriali registrano tutte il segno meno: Europa -0,6%, Nord America -0,4%, Giappone e Corea -1,2%, con una Cina ormai in fase di stabilizzazione (+0,3%). Di contro, si aprono spiragli in Asia meridionale (+2,7%) e Sud America (+1,5%), aree dove l’urbanizzazione e l’aumento del reddito pro-capite potrebbero sostenere una nuova domanda.
In Italia, lo studio evidenzia un ritorno all’uso dell’automobile come mezzo principale per gli spostamenti. Tuttavia, questo non corrisponde a una crescita del mercato del nuovo. Anzi, l’usato supera sistematicamente il nuovo, sintomo di incertezza normativa e di un prezzo medio d’acquisto percepito come eccessivo. Il risultato è un parco circolante che invecchia rapidamente, con implicazioni negative anche sul fronte ambientale.
Le auto ibride raggiungono ormai il 50% delle nuove immatricolazioni, ma le elettriche pure (BEV) restano ferme a una quota di mercato 5%, con una penetrazione ancora inferiore nel Mezzogiorno. Le ragioni? Prezzo, scarsa fiducia e una rete di ricarica che cresce, ma non abbastanza da rassicurare gli utenti privati. Il declino del diesel, che un tempo dominava il mercato, non ha avuto l’effetto sperato: le emissioni medie di CO₂ restano oltre i 115 g/km, superiori ai valori registrati nel 2015.
In uno scenario già difficile, si inserisce la nuova incutine dei dazi. Gli Stati Uniti stanno intensificando l’uso di barriere commerciali come leva per rilanciare la manifattura domestica, oggi al minimo storico in termini di occupazione e incidenza sul PIL. A farne le spese, con conseguenze già visibili, sono stati i brand tedeschi, particolarmente esposti su mercati esteri. Secondo lo studio circa il 50% dei loro volumi è a rischio. Comparto dell’auto tedesco che sta affrontando anche la “crisi” della domanda in Cina. Nel 2024, gli Stati Uniti sono il primo mercato importatore di veicoli leggeri, con circa 5 milioni di unità, il 23% del loro fabbisogno interno. Le importazioni americane provengono in gran parte da marchi asiatici e, in particolare, Toyota, Hyundai e Kia, mentre le Case cinesi sono praticamente assenti. Secondo posto tra i maggiori importatori di auto per l’Europa, con oltre 4 milioni di auto, e il Medio Oriente. Cina e Giappone sono perà quasi completamente autosufficienti.
Il quadro delineato dallo studio dell’ANIASA mostra un’Europa in affanno, letteralmente incastrata tra pressioni normative, costi di produzione elevati, assenza di una visione industriale unitaria e concorrenza cinese. La transizione verso l’elettrico appare disallineata rispetto alle reali esigenze del mercato: la domanda non segue il ritmo imposto dalle regolazioni. L’effetto è un sistema produttivo frammentato, sottoutilizzato e poco competitivo, che rischia di perdere terreno a favore di nuovi poli industriali emergenti.
Secondo le stime, entro il 2028 l’Europa accumulerà un divario di circa 15 milioni di veicoli rispetto alle previsioni fatte nel 2022. “L’industria automobilistica europea è a un bivio,” ha affermato Alberto Viano, presidente ANIASA. “Norme sempre più stringenti, una domanda debole e il contesto geopolitico impongono un ripensamento strutturale.” Dello stesso avviso Gianluca Di Loreto, Partner di Bain & Company e responsabile italiano del settore automotive: “Il comparto non può più fare affidamento sulla crescita. Solo chi saprà ridefinire geografie produttive, catene del valore e capacità di adattamento potrà restare competitivo.”