SI RIPARTE DA ZERO - La recente
Alfa Romeo Giulia segna un reset della storica marca milanese. Si ricomincia da capo, mettendosi alle spalle oltre 30 anni di scelte sbagliate che hanno relegato la casa ad un presenza minimale nel mercato. Un cambio di filosofia che si rispecchia nel nuovo slogan: “la meccanica delle emozioni”. Il gruppo FCA ha scommesso una buona parte del suo futuro sul rilancio dell'Alfa Romeo per la quale sono previsti 5 miliardi di investimenti e una gamma di sette modelli tutti made in Italy. Un'Alfa Romeo da riposizionare come marchio premium, quindi con prezzi paragonabili alle concorrenti tedesche, rispetto alle quali cercherà di differenziarsi puntando, appunto, sulla parte più emozionale. Se questa scommessa sarà vinta dipenderà solo dalla bontà delle auto proposte che dovranno sì puntare su stile, piacere di guida e meccanica raffinata, ma non dovranno essere da meno in termini qualitativi rispetto alle rivali. In attesa di saperne di più, andiamo ad analizzare le antenate dell'Alfa Romeo Giulia, una genealogia iniziata 60 anni fa.
ALFA ROMEO GIULIETTA (1955)
Corre l’anno di grazia 1954 quando, al trentaseiesimo Salone di Torino, fa bella mostra di sé la Giulietta Sprint: uno dei pochi casi in cui la coupé nasce prima della berlina. Si tratta di un escamotage voluto dal capoprogetto Rudolf Hruska per guadagnare tempo: la Giulietta a quattro porte è già pronta, forte di un 1.3 bialbero per l’epoca ben più brillante della concorrenza, di linee piacevoli e di una tenuta di strada all’avanguardia. Ma la berlina lamenta una rumorosità eccessiva e, per guadagnare tempo, si decide di presentare la coupé, dove questo difetto diviene un pregio. Meglio insonorizzata, la berlina viene finalmente presentata nel 1955, quando la Sprint ha già fatto sognare milioni di italiani: sono gli anni in cui si pongono le basi per quel boom industriale degli anni 60 che avrebbe portato la nostra nazione a uscire definitivamente dalle ferite postbelliche. I 50 CV del bialbero diventano ben presto 65 con la Giulietta TI e, nel 1961, 74: la Turismo Internazionale prosegue la carriera fino al 1965, conquista vittorie significative nelle gare in salita e nei rally. La Giulietta, all’epoca, è “la fidanzata degli italiani” e segna il passaggio dell’Alfa Romeo a vera realtà industriale: ne saranno costruite ben 132.000.
ALFA ROMEO GIULIA (1962)
La Giulietta costituisce una base apprezzata e ben rodata per la successiva Giulia che, secondo gli slogan del tempo, è “disegnata dal vento”. Concepita ancora al Portello, ha una linea inconfondibile, con un frontale che più aggressivo non si può e il baule con caratteristiche nervature. La Giulia debutta nel 1962, con le sospensioni anteriori a quadrilateri sovrapposti, il ponte posteriore rigido (di nome e di fatto, visto che in ogni film in cui è comparsa la Giulia si è esibita in caratteristici controsterzi, facilitati da questa soluzione tecnica) e un motore maggiorato a 1.6. Sarà uno degli assi portanti dell’Alfa Romeo, costruita - solo nella versione berlina - in più di 570.000 esemplari lungo un arco di 15 anni: da lei deriveranno le celebri Sprint GT, la Duetto destinata a diventare in seguito Spider e nel 1968 simbolo di borghese ribellione con “Il laureato” interpretato da Dustin Hoffman, oltre alle versioni agonistiche TZ e TZ2, caratterizzate dal telaio Tubolare Zagato. Della Giulia si ricorda la rara (costruita in 501 esemplari) TI Super, per gli appassionati Biscione: plurivittoriosa nel Gruppo 2 - per la quale era stata concepita - permise all’Alfa di definire la Giulia come “la berlina che vince le corse”.
ALFA ROMEO 1750 (1968)
Debutta al Salone di Bruxelles nell’anno delle rivoluzioni sociali per antonomasia, il ’68: la 1750 è una berlina che riprende, più spigolosa e grande, gli stilemi della Giulia, ponendosi un gradino più in alto. Confortevole ma con quel brontolio del bialbero, per l’occasione maggiorato con l’aumento dell’alesaggio e della corsa, tanto caro agli alfisti, è l’erede della 2000 di dieci anni prima e riprende la sigla di un’Alfa Romeo degli anni Trenta. La plancia ha inserti in legno generosamente profusi; caratteristico l’ampio tunnel centrale che accoglie indicatore benzina, termometro acqua, manometro olio e orologio oltre al cambio inclinato verso il guidatore - che in questo caso non è improprio definire pilota. Dopo un lieve aggiornamento estetico, nel 1971 la 1750 diviene 2000: il frontale presenta uno scudetto più ampio, i fari sono ancora gemellati ma di eguali dimensioni e all’interno c’è la novità di un condizionatore di provenienza Borletti in grado di alleviare le trasferte più calde. La vera novità è sotto il cofano: il 2 litri sfiora la soglia dei 200 km/h di velocità massima, mentre è di serie il differenziale autobloccante posteriore.
ALFA ROMEO ALFETTA (1972)
Nel 1972 nasce una delle più belle “vie di mezzo” dell’Alfa Romeo: il nome è preso a piedi pari dalle vetture da competizione che sono arrivate a vincere, con Farina e Fangio, i primi due Mondiali di Formula 1 della storia nel ’50 e nel ’51. Il progetto 116 - questa la sigla interna dell’Alfetta - nasce come evoluzione (ma non sostituzione) della Giulia: il motore è il confermato bialbero 1750, le linee sono squadrate come impongono le tendenze stilistiche dell’epoca, e lo schema di trasmissione e sospensione tutto nuovo: il ponte posteriore De Dion guidato da un parallelogramma di Watt fa il paio con le barre di torsioni longitudinali all’avantreno, che eliminano le tradizionali molle. Il bilanciamento dei pesi è così al 50% su ambo gli assi; il cambio al retrotreno che caratterizzerà le Alfa fino alla 75 presenta congeniti problemi di manovrabilità, solamente leniti ma mai eliminati dai successivi affinamenti. Nel 1974 nasce sulla base dell’Alfetta l’Alfetta GT, con una linea particolare e il telaio accorciato nel passo: fino al 1987 sarà la coupé da famiglia (o quasi) dell’Alfa, portando al debutto con l’ammiraglia Alfa 6 il V6 Busso arrivato fin quasi ai giorni nostri. L’Alfetta passa per un’importante revisione estetica nel 1976, l’installazione del primo turbodiesel in casa Alfa nel 1980, gli esperimenti con la disattivazione dei cilindri (CEM, Controllo Elettronico Motore) in nome del risparmio di carburante e una carriera che dura fino al 1985, sfiorando i numeri di vendita della Giulia.
ALFA ROMEO GIULIETTA (1977)
Qualche centimetro più in basso dell’Alfetta nasce nel ’77 (ma le prime consegne avvengono l’anno successivo) la Giulietta: anch’essa figlia del compromesso, nasce dal pianale della sorella maggiore con il compito di rimpiazzare la Giulia senza creare sovrapposizioni commerciali con la berlina più grande. Il risultato è un’auto dal profilo marcatamente a cuneo, dagli interni che sono un emblema degli anni 70 ancor più di quelli dell’Alfetta (è il trionfo del Texalfa), dalla strumentazione con tachimetro e contagiri che presentano gli apici speculari e dai collaudati motori 1.3 e 1.6 della Giulia. In molti ricordano ancora la coda - con uno spoiler integrato che la fa definire “a sedere d’anatra” - della Giulietta; in pochi l’effimera 2.0 Super con motore 2.0 del 1980, prodromo a una revisione stilistica dell’anno successivo che porta all’ampliamento dei motori e al miglioramento degli interni. Il diesel dell’Alfetta finisce sotto il cofano nel 1983, assieme al 2.0 turbo della rara Turbodelta, evoluzione dello stesso motore che aveva debuttato nel 1979 sulla GTV Turbodelta.
ALFA ROMEO 75 (1985)
Per il settantacinquesimo compleanno dell’Alfa Romeo, ad Arese viene imposto di fare le classiche nozze con i fichi secchi: aggiornare cioè la Giulietta ricavandone un modello tutto nuovo. Oltre al pianale, sono comuni alla progenitrice anche le porte - il che indica bene i vincoli progettuali imposti dall’IRI, allora proprietaria dell’Alfa. Eppure, la 75 ha personalità marcata e destino commerciale ben migliore a quello della coeva 90 (la stessa operazione ripetuta sull’Alfetta): traghetta l’Alfa negli anni 90 ed è l’ultima berlina a trazione posteriore prima della Giulia del 2015. In otto anni di carriera, arriva a ricevere il 3.0 V6 derivato dall’originario 2.5 V6; l’ormai storico bialbero 1.8, aggiornato con l’iniezione elettronica, dice ancora la propria con un turbo che le regala prima 155 e poi 165 CV, mentre nell’87 - in concomitanza con l’acquisto della Fiat - il 2.0 viene dotato di accensione a doppia candela e variazione di fase diventando 2.0 Twin Spark. Senza infine dimenticare la 75 Evoluzione dell’86: 500 esemplari con carrozzeria decisamente vistosa per omologare la 75 per il Superturismo, ancor oggi un must per chi ama gli eccessi stilistici degli anni Ottanta; o le derivate (dalla 75 Gruppo A) SZ e RZ, oggi ambitissime.
ALFA ROMEO 164 (1987)
È il primo modello nato dopo il passaggio alla Fiat avvenuto nel 1986: sostituisce in un solo colpo l’Alfetta e la sfortunata Alfa 6, nata in ritardo e in piena crisi energetica oltre che equipaggiata con una meccanica di prim’ordine ma troppo impegnativa per l’Italia (e abbastanza snobbata all’estero, visti i 12.000 esemplari venduti in otto anni di carriera). Presentata a Francoforte nell’87, si basa sul pianale Tipo 4 da cui nascono anche la Fiat Croma, la Lancia Thema e la Saab 9000: la linea è di Pininfarina, aerodinamica e gradevole, con un profilo a cuneo ed elementi stilistici semplici ma caratteristici quali i sottili fanali raccordati da una fascia in plastica rossa che ingloba luci di retromarcia e retronebbia. La plancia ha comandi avveniristici, e non mancano dispositivi utili per il comfort e la sicurezza, dal servosterzo all’Abs o (nella ristilizzata Super del ’92) l’airbag lato guida. I motori, tranne il primo turbo da 175 CV di provenienza Fiat-Lancia, sono Alfa Romeo: spicca il 3.0 V6 con testa a 4 valvole e doppio albero per bancata che equipaggia la Q4 a trazione integrale. Che, in virtù del cambio manuale a 6 marce, è gravata dall’assurdo balzello sui fuoristrada previsto all’epoca: una berlina di classe equiparata a una jeep, assurdità tutte italiane. L’erede 166 del 1998 avrà meno fortuna della 164, prodotta in quasi 270.000 esemplari.
ALFA ROMEO 155 (1992)
Controversa come ogni rottura con il passato, è la prima berlina nata interamente sotto la gestione Fiat: sacrifica lo schema meccanico a trazione posteriore per il pianale Tipo2 impiegato dalla Fiat Tipo e Tempra e dalla Lancia Dedra. Il risultato è un mix di motori Alfa (tutti a doppia candela tranne il 2.5 V6), Fiat-Lancia (il 2.0 16v della Q4, stretto parente di quello della Delta Integrale) e i turbodiesel a iniezione indiretta che arrivano fino ai 125 CV del 2.5 TD. La linea è a cuneo, la parte centrale comune alle cugine piemontesi: i duri e puri del marchio sono perplessi, le vendite ammontano tuttavia a 200.000 esemplari scarsi in cinque anni - un risultato da non disprezzare. Molto incide su questo la carriera agonistica della 155: nel ’92 la 155 GTA vince il Superturismo con Larini con una meccanica stretta parente della Delta Evoluzione che faceva incetta di titoli nel Mondiale Rally; l’anno successivo la V6 TI conquista il prestigioso DTM battendo a casa propria i tedeschi di BMW, Opel e Mercedes, con un’auto che - da regolamento - è un prototipo con le fattezze della vettura di serie.
ALFA ROMEO 156 (1997)
Nel ’97 la 155 segna il passo d’addio, sostituita dalla 156, ben più sportiva nelle linee - firmate da Walter De Silva - e con più di un omaggio al passato (dalla strumentazione a binocolo al tunnel centrale) nei confronti delle Alfa “dal cuore sportivo”. Il debutto è col botto, con il titolo di auto dell’anno. La piattaforma è ancora la Tipo 2, abbondantemente riveduta e corretta - e differenziata dalla Lancia Lybra, più orientata al comfort, grazie a sospensioni indipendenti posteriori. Non mancano, specie dal 2002 in poi, aggiornamenti funzionali che permettono di competere ad armi pari con le tedesche - non solo per le qualità dinamiche ma anche per l’equipaggiamento; per quanto riguarda la tecnica, la 156 porta al debutto il primo turbodiesel common rail della storia (insieme alla Mercedes Classe C) e il benzina a iniezione diretta JTS, oltre al cambio robotizzato Selespeed. Apprezzata anche nella versione famigliare Sportwagon, la 156 viene venduta in poco meno di 700.000 esemplari fino al 2007: per i più nostalgici, da registrare il canto del cigno del V6 Busso, per l’occasione portato a 3.2, sulla 156 GTA - che di Alleggerita, a dire il vero, aveva più il nome che la sostanza.
ALFA ROMEO 159 (2005)
Il nome richiama l’Alfetta 159 con cui Fangio vinse il Mondiale di Formula 1 nel ’51: il pianale, denominato Premium, è specifico e la linea, con il frontale contraddistinto da sei fari - esattamente come sulla RZ e sulla SZ. Rispetto alla 156, aumentano dimensioni e pesi, quasi al limite della categoria superiore: rispetto agli stereotipi sul marchio - che tuttavia costituiscono anche un buon motivo di traino commerciale - sulla 159 si sta meglio di quanto ci si aspetti da un’Alfa, ma ci sono vari chili di troppo a penalizzare le prestazioni. Una successiva revisione del 2009 propone una serie di modifiche di rilievo: il peso diminuisce di circa 50 kg (ma rimane sempre considerevole), i JTS che hanno debuttato sulla 156 vanno in pensione e, in genere, ai motori viene assicurata una discreta iniezione di cavalli, partendo dal diesel JTD e finendo all’inedito 1750 TBi che oggi equipaggia, opportunamente evoluto, Giulietta e 4C. A listino ci sono ancora i V6 a benzina, ma si tratta dei motori General Motors (all’epoca la Fiat era alleata di GM) 3.2: nascono in Australia, ma sono dotati di una testa sviluppata dai tecnici Alfa. Dalla 159 derivano la coupé Brera e la scoperta Spider: se la Giulia rimpiazza, dopo quattro anni dall’uscita di scena (nel 2011) la berlina, per le loro eredi bisogna ancora aspettare.