CONFRONTO COMUNITARIO - Altra vittoria della Germania in sede europea dopo il rinvio della decisione sulle emissioni di CO2 (
qui per saperne di più). La Corte di Giustizia del Lussemburgo - suprema magistratura comunitaria europea - ieri ha emesso una importante sentenza sulla cosiddetta “
legge Volkswagen” vigente in Germania, dando ragione a quest’ultima a proposito della liceità di una sua norma che interessa da vicino la casa automobilistica. La causa vedeva contrapposta la Germania e la Commissione Europea che aveva contestato la legge in questione ritenendola contraria ai principi dell’Unione Europea sulla libertà di mercato.
HA RADICI STORICHE - La legge al centro della lunga diatriba - la norma risale agli Anni 60 e le contestazioni hanno almeno una decina d’anni - crea uno status giuridico particolare per la società Volkswagen. Mentre la legge generale tedesca prevede il diritto di veto per gli azionisti che detengono almeno il 25% dei diritti di voto di una società, nel caso dell’azionariato della Volkswagen la regione della Bassa Sassonia conta sulla possibilità di bloccare le decisioni strategiche non condivise pur detenendo soltanto il 20% dei diritti di voto (con il 12,7% delle azioni). Questa particolarità risale ancora alla travagliata nascita della sistemazione societaria della Volkswagen, avvenuta nel 1960 dopo anni di discussioni e incertezze. La norma è definita “legge Volkswagen” perché fu varata appositamente per la casa automobilistica. Al 31 dicembre del 2012 gli altri azionisti sono Porsche Automobile Holding (32,2%, con il 50,73% dei diritti di voto), investitori stranieri (24,9%), Qatar holding (16,4%), azionisti privati (9,3%), investitori istituzionali tedeschi (3,%), Porsche Salzburg (1,5%).
INTERESSE COLLETTIVO - I fini di una tale norma sono la salvaguardia di una politica industriale volta a perseguire gli interessi della collettività, in poche parole l’occupazione. I temi su cui si esemplifica sempre i casi in cui il diritto potrebbe scattare sono appunto la chiusura di stabilimenti, le scelte strategiche di produzione, le scalate azionarie non gradite.
MODIFICHE SUFFICIENTI - Proprio questi elementi hanno portato la Commissione a contestare la legge, ritenuta di natura protezionistica. Da lì il lungo confronto giuridico davanti alle istanze comunitarie. Sei anni fa c’era già stata una presa di posizione europea che aveva indotto la Germania ad apportare alcune modifiche della legge, ma la sostanza del diritto di veto in pratica era rimasta. Da lì la causa intentata dalla Commissione europea contro la Germania. Ieri la sentenza della Corte di Giustizia di Lussemburgo che dovrebbe essere definitiva sulla questione.