25 ANNI DI FIAT - Ieri, all’età di 97 anni, si è spento Cesare Romiti (a destra nella foto qui sopra insieme a Gianni Agnelli), uno dei più importanti manager del secolo scorso e che con le sue azioni ha segnato profondamente le vicende industriali italiane del ‘900 con particolare riferimento alla Fiat. Un grande manager, oltre che successivamente imprenditore, la cui storia resterà per sempre legata a doppio filo ai venticinque anni spesi in Fiat. Approda nel 1974 per poi andarsene nel 1998 dopo aver ricoperto i ruoli di amministratore delegato e presidente.
L’ARRIVO A TORINO - In quegli anni le azioni e i pensieri di Romiti erano ovviamente legati in modo indissolubile e totale a quelli di Gianni Agnelli. Il manager romano rappresentò infatti per molti anni l’uomo di fiducia dell'Avvocato: arrivò a Torino dopo alcune esperienze nel settore della chimica e nelle partecipazioni statali, dove tra l’altro ebbe modo di dirigere Alitalia e le costruzioni di Italstat. Il suo arrivo a Torino coincide con gli anni della crisi petrolifera: l’approdo in Fiat viene “benedetto” da un altro grande personaggio italiano, Enrico Cuccia, che nutriva grande stima nei confronti di Romiti, uomo adatto, secondo Cuccia a rimettere in ordine i conti della Fiat. Così a cinquant’anni Romiti debutta nel mondo dell’auto: nel 1975 viene nominato amministratore delegato per la parte finanziaria, carica che condivide con Umberto Agnelli e soprattutto con Carlo De Benedetti, che aveva acquisito una quota dell'azienda automobilistica.
LO SCONTRO CON DE BENEDETTI - Romiti e De Benedetti: due personalità troppo forti per andare d’accordo. E infatti dopo appena 100 cento giorni di triumvirato, De Benedetti lascia la Fiat cedendo le sue azioni, con uno strascico di polemiche tra i due che si trascinarono per diversi anni. Con l’uscita di De Benedetti il potere di Romiti in Corso Marconi a Torino aumenta negli anni in modo considerevole.
I SOLDI DI GHEDDAFI - Il primo evento importante è nel 1976, quando assieme ad Agnelli prepara l'ingresso della Lafico - la finanziaria del governo libico guidato dal dittatore Muammar Gheddafi - nel capitale della Fiat. La Casa italiana aveva bisogno di soldi e la Libia ricca di petrolio ne aveva a sufficienza. Più complicato invece convincere a livello politico il resto del mondo sulla presenza di un socio, o meglio di un governo, che non piaceva a nessuno, o quasi. L’operazione comunque va in porto: i soldi arrivano nella casse di Torino per restarci fino al 1986 quando i libici decidono di uscire dal capitale sociale di Fiat.
ALLA GUIDA DELLA FIAT - Nel 1980 il secondo grande passo. La crisi petrolifera non accenna a diminuire e la Fiat presentando i bilanci agli azionisti accusa esplicitamente le politiche economiche del governo che favorirebbe gli scioperi nelle fabbriche. Interviene ancora una volta Mediobanca, o meglio Cuccia: convince gli Agnelli che per Umberto è arrivato il momento di farsi da parte lasciando la carica di amministratore delegato. Romiti ora è solo al timone: l’azienda è nelle sue mani. La prima mossa è orchestrare la celebre marcia dei quarantamila che il 14 ottobre di quello stesso anno invade Torino. Per la prima volta i dirigenti della Fiat sono in corteo: vogliono tornare a lavorare e protestano contro i picchetti sindacali che impediscono l'accesso alle fabbriche. Picchetti che volevano impedire la cassa integrazione per 23 mila dipendenti. La vittoria alla fine andò a Romiti che, in ultima analisi, ridimensionò parecchio il potere contrattuale dei sindacati.
GLI ANNI 80 - Gli Anni 80 sembrano destinati a una crescita vigorosa e nel 1988, dopo da quattro anni di bilanci record, la Fiat acquisisce anche il marchio Alfa Romeo. In Italia insomma il gruppo torinese dominava la scena. Un po’ meno all’estero: nel 1990 si prospetta un matrimonio con Chrysler. A Romiti l’idea piace, ma gli azionisti, a cominciare da Umberto Agnelli, nutrono diversi dubbi e l’affare sfuma.
GLI ANNI 90 - Inevitabilmente i rapporti di Romiti con Umberto Agnelli peggiorano e quando nel '92 Gianni Agnelli annuncia che l'anno successivo avrebbe ceduto la carica di presidente al fratello, sempre grazie ai buoni “consigli” di Mediobanca. Romiti riesce a far passare un sostanzioso aumento di capitale congelando di fatto la situazione fino al 1996, anno in cui Gianni Agnelli passerà la presidenza proprio a Romiti, che la manterrà fino al compimento dei 75 anni di età, vale a dire nel 1998.
MANI PULITE - Per Romiti insomma i 25 anni in Fiat furono costellati da grandissimi successi, anche se non sono mancati periodi difficili. Come nel caso della celebre inchiesta di Mani Pulite: nel 1993 è stato interrogato a lungo dal pool dei pm milanesi. Fece alcune ammissioni importanti, ma disse anche di non saper nulla di quanto accadeva sotto di lui. Così il manager della Fiat, Francesco Paolo Mattioli, venne arrestato e condannato per tangenti. In seguito, nel 2000 la Cassazione conferma a Romiti una condanna per falso in bilancio, finanziamento illecito dei partiti e frode fiscale. La condanna per falso in bilancio viene in seguito annullata dalla Corte d'Appello di Torino tre anni più tardi.
LA PARABOLA DISCENDENTE - Nel 1998, come detto, Romiti lascia la Fiat con una sostanziosa liquidazione: nel pacchetto è compresa anche una quota della Gemina, società che controlla tra l’altro Impregilo e la Rcs editrice del Corriere della Sera. Romiti viene affiancato dai due figli, ma i risultati non sono brillanti. Per il grande manager inizia l’inevitabile parabola discendente. Consegnando così alla storia un uomo, il cui periodo più splendente sono stati i 25 anni trascorsi a guidare la più grande azienda italiana di automobili.