L’Europa dell’auto sta attraversando, in parte anche per la complicata transizione all’elettrico, una profonda fase di cambiamento che porta con sé grandi sfide per tutto il comparto. La pandemia globale da Covid-19, l’aumento della concorrenza (soprattutto dalla Cina) e, da ultimo, le politiche protezionistiche d’Oltreoceano hanno messo sotto pressione le case automobilistiche del Vecchio Continente, che ora cercano di “ristrutturarsi” per poter affrontare al meglio il processo d’elettrificazione (il Green Deal dell’Ue fissa al 2035 il termine ultimo per la vendita di vetture a benzina o a gasolio). Si tratta di scelte decisive, da cui dipende la sopravvivenza di un settore strategico, per il nostro Paese e per tutta Europa. A questi interrogativi hanno cercato di rispondere gli esperti intervenuti alla conferenza “Salvare l’auto europea” al Festival dell’Economia di Trento.
Quasi tutti i relatori concordano che la scelta dell’Ue di forzare il consumatore all’acquisto di auto a batteria sia controproducente e, per quanto possibile, da rivedere. Secondo Antonella Bruno, Managing director Italia di Stellantis, l’impegno del gruppo sull’elettrico è confermato, ma per “salvare” il settore è necessario riportare sul mercato vetture meno costose. Un obiettivo raggiungibile “rivitalizzando” le vetture di piccole dimensioni (le citycar e le utilitarie per intenderci), ormai quasi sparite dai listini. Un rilancio che in Italia passa anche da modelli come la nuova Fiat 500 ibrida in arrivo nel 2026 (ne parliamo qui) e la Fiat Grande Panda (ora disponibile sia elettrica, sia a benzina mild hybrid), e che entro la fine dell’anno arriverà in una versione solo a benzina (ci sono già l’elettrica e l’ibrida), con un prezzo sotto i 18.000 euro. Un impulso che favorirebbe il rinnovo del parco circolante: quello italiano ha un’età media di quasi 13 anni, contro i 12,3 della media europea.
Più in generale, secondo il professor Sandro Trento dell’Università di Trento, le case automobilistiche europee scontano, nei confronti soprattutto della Cina, un ritardo tecnologico sia sul fronte della produzione delle batterie, sia su quello dello sviluppo dei software. Il colosso asiatico è da decenni che “scommette” sull’elettrico (i primi piani strategici sull’auto a “pila” risalgono agli inizi degli anni 90), mentre i costruttori europei hanno iniziato a investirci pesantemente solo nell’ultimo decennio. Recuperare lo svantaggio è difficile, anche perché l’Europa è una delle regioni del mondo dove si spende meno in ricerca e sviluppo.
Per salvaguardare il comparto auto in tutto il Vecchio continente è necessario proteggere una delle nostre eccellenze: il motore a scoppio (l’Europa è ancora in vantaggio in quanto a “know-how” sulla concorrenza asiatica) consentendogli di sopravvivere oltre il 2035. Per Franco Del Manso dell’Unem (Unione Energie per la Mobilità) ciò si può fare solo “allentando” i vincoli del Green Deal, aprendo ai biocarburanti (generati con le biomasse e poco valorizzati dalla Commissione europea), agli e-fuel (realizzati in laboratorio “combinando” il carbonio prelevato dalla CO2 con l’idrogeno sviluppato con elettricità generata da fonti rinnovabili) e favorendo un approccio di neutralità tecnologica, che non privilegi solo l’elettrico a batteria.