Le continue strette sulle norme antinquinamento porteranno le auto d’epoca all’estinzione? Pur con tutte le limitazioni del caso, oggi in Italia ai mezzi con una storicità certificata da un ente accreditato la circolazione è consentita anche nei centri città, ma con l’inasprirsi della “guerra” all’automobile proclamata dall’Unione europea e da molte amministrazioni locali, un po’ di timore c’è. Eppure, un modo per mettere d’accordo amanti dei motori del passato e paladini dell’ambiente ci sarebbe: i carburanti sostenibili.

Prendiamo il caso dell’Italia: la percentuale di auto d’epoca iscritte nei registri riconosciuti dal Codice della Strada, come Asi (Automotoclub Storico Italiano), Storico Lancia, Italiano Fiat, Italiano Alfa Romeo, è solo lo zero virgola del parco circolante, con un impatto pressoché irrilevante sull’ambiente. Impatto che, spiega ad alVolante Francesco Di Lauro, presidente della commissione Asi Green, potrebbe ulteriormente ridursi utilizzando i biocarburanti: “Intendiamoci: le emissioni allo scarico rimangono le stesse, ma non è quello il problema principale, perché l’anidride carbonica, in sé, se contenuta entro certi livelli non solo non è velenosa per l’uomo, ma è quella cosa che evita, tanto per capirci, che sulla Terra ci siano 18 gradi sotto zero”.
“Si parla tanto di sostenibilità, ma spesso e volentieri senza sapere di cosa si sta parlando. Il concetto è che, se si rende sostenibile il processo per ottenere una benzina in grado di far funzionare un motore, si innesca un meccanismo circolare virtuoso”.

“Un conto è la distillazione frazionata del petrolio, un altro è sfruttare scarti vegetali non alimentari, come tronchi di legno, erbacce, ramaglie. Nel primo caso si libera carbonio nell’aria, nel secondo l’anidride carbonica, assorbita naturalmente dalle piante con la fotosintesi clorofilliana, viene estratta con reazioni chimiche che consentono di ottenere gli idrocaburi, i quali, miscelati, danno la biobenzina. Non si tratta di raggiungere le fatidiche zero emissioni, ma di ridurre il più possibile il bilancio tra la CO2 assorbita e quella liberata nell’atmosfera”.
“Quello degli elettrocombustibili è un campo ancora da esplorare, almeno su larga scala. Per ora sono usati nelle competizioni automobilistiche e da pochi colossi come Porsche, Bosch, Shell e Aramco, che non forniscono dati relativi al loro reale contributo alla sostenibilità. Di certo c’è che, per essere prodotti, richiedono processi molto energivori: ci sono degli enormi ventilatori che assorbono anidride carbonica e per separare il carbonio dall’ossigeno serve un’enorme quantità di acqua ed elettricità. Senza contare il fatto che, di e-fuel, in commercio non ce n’è neppure una goccia. Non mi dispiacerebbe averne una cinquantina di litri a disposizione per poter fare i test che abbiamo fatto con i biocarburanti”.

“Sulle biobenzine di seconda generazione, ormai, sappiamo tutto: le abbiamo provate in laboratorio, su strada, in pista. Abbiamo visitato gli stabilimenti dove vengono prodotte. Possiamo dire con certezza che funzionano bene, il che, in realtà, non è una sorpresa. Del resto, se così non fosse stato, non avrebbero ottenuto la stessa certificazione delle benzine di origine fossile. Ma c’è dell’altro: essendo fatti in laboratorio, e non in una raffineria, lotto per lotto le proprietà chimico-fisiche dei biocarburanti rimangono più stabili. Questo fa la differenza nelle auto d’epoca, che tipicamente vengono usate poco, con la benzina che rimane nel serbatoio per molti mesi”.
“Proprio così. Un prodotto come la Classic Super 80 della britannica Sustain, la biobenzina che stiamo sperimentando ormai da un paio d’anni su diverse auto della nostra collezione, è fatto apposta per i vecchi motori, che, tra l’altro, non richiedono alcuna modifica. Può restare nel serbatoio anche per due, tre anni, perché ha una percentuale di etanolo inferiore allo 0,5%, contro il 5-10% contenuto nella benzina tradizionale. L’etanolo è il killer silenzioso dei motori delle auto d’epoca: è corrosivo e, alla lunga, danneggia l’impianto di alimentazione. Inoltre, nei biocarburanti è più costante anche il numero di ottano, quindi il potere antidetonante è maggiore. Tradotto: il motore rende meglio e vive più a lungo”.

“In Inghilterra si può già fare rifornimento di biobenzina in tre, quattro stazioni di servizio, spendendo circa il triplo rispetto alla benzina normale”.
“Sì, ma è normale che sia così. Prima di tutto perché la biobenzina, per essere davvero sostenibile, dev’essere ottenuta con costosi reagenti non di origine fossile. E poi, finché non sarà più diffusa, auspicabilmente anche per il trasporto aereo, continuerà a costare tanto. Il discorso cambia per i biocarburanti da competizione: quello a 102 ottani costa dai 5,50 ai 7 euro al litro, contro i 6,5-8 di un equivalente derivato dal petrolio. In questo caso, la convenienza esiste già".
























































































