Aliene su strada: l'epoca d'oro delle hypercar anni '90

Tra quelli a firma di Gordon Murray, l’ingegnere di Formula 1 celebre per il “ventolone” che nel 1978 fece installare in coda alla Brabham BT46B per tenerla incollata al suolo, il progetto della McLaren F1 è uno dei più acclamati. Prodotta in poco più di 100 esemplari tra il 1993 e il 1998, questa hypercar vanta una velocità massima di ben 386,7 km/h che ne fa ancora oggi l'auto stradale con motore aspirato più veloce al mondo. Merito di una grande efficienza aerodinamica e di un peso piuma (supera di poco i 1.100 kg), ma anche dei 627 CV forniti dal motore, un poderoso 6.0 V12 costruito ad hoc dalla BMW.

È il modello che nel 1991 ha segnato il ritorno in grande stile del rinomatissimo marchio francese, resuscitato nel 1987 dall’imprenditore lombardo Romano Artioli dopo un periodo di inattività che durava dal 1963. Progettata da un team di tecnici guidati da due ingegneri italiani del calibro di Paolo Stanzani e Nicola Materazzi e disegnata intorno a una raffinata vasca in fibra di carbonio dalla matita di Marcello Gandini e Giampaolo Benedini, la Bugatti EB 110 è mossa da un 3.5 V12 quadriturbo da 560 CV. “Brucia” lo “0-100” in 3,5 secondi e supera i 340 km/h.

Prima che nel 1994 venisse scalzata dalla McLaren F1, spettava a questa sinuosa ed elegante hypercar britannica da 350 km/h il primato di vettura stradale più veloce al mondo. Al di là di ogni record, la Jaguar XJ220 (rimasta sulla breccia per soli tre anni, dal 1992 al 1994, e costruita, si stima, in circa 280 esemplari) rimane una delle più affascinanti rappresentanti del club delle auto da sogno degli anni ’90. Inizialmente avrebbe dovuto montare un 6.2 V12 da circa 500 CV, ma quel motore di progettazione Jaguar, rivelatosi troppo complicato da costruire, fu sostituito dal V6 della MG Metro 6R4, vettura da rally del Gruppo B. Aumentato nella cilindrata da 3 a 3,5 litri, grazie alla sovralimentazione mediante due turbocompressori forniva 550 CV.

Progettata da Jerry Wiegert, ingegnere americano con una passione sfrenata per le auto e gli aerei, la Vector W8 poggia su una struttura a monoscocca in alluminio, materiali compositi e kevlar che sfrutta le più avanzate tecnologie aerospaziali. Sotto la bassa carrozzeria dalle linee tese e affilate si cela un 5.7 V8 biturbo da 650 CV. Costruita tra il 1989 e il 1993 dalla statunitense Vector Motors (secondo alcune fonti in 19 esemplari), vanta prestazioni superiori alle supercar Ferrari e Lamborghini dell’epoca, con un’accelerazione da 0 a 100 km/h in 4 secondi netti e una punta massima superiore ai 350 km/h. (Foto credit: Petersen Museum).

Concepita per correre nella classe GT1 del mondiale GT, nel 1997 la Mercedes CLK GTR è stata omologata anche per l’uso stradale e costruita a mano nei reparti sportivi della AMG in 25 esemplari, 20 con carrozzeria chiusa e 5 senza il tetto. La prima poteva essere equipaggiata con due motori V12, un 6.9 da 631 CV (“0-100” in 3,8 secondi, oltre 340 km/h) oppure un 7.3 da 664 CV (più rapida di 3 decimi in accelerazione), mentre la versione roadster era mossa unicamente dall’unità più piccola, depotenziata a 612 CV.

Nato nella seconda metà degli anni ’80 da un’iniziativa imprenditoriale congiunta tra l’ingegnere modenese Claudio Zampolli e il compositore altoatesino Giorgio Moroder, il progetto della b coinvolse anche Marcello Gandini, che diede forma a una carrozzeria dal profilo cuneiforme, bassa e con l’abitacolo proteso in avanti simile a quella di un’altra supercar alla quale il designer torinese lavorò in quel periodo: la Lamborghini Diablo. Rispetto al bolide della casa del toro, però, questa vistosa hypercar ebbe assai meno fortuna: mossa da un imponente 6.0 V16 da 540 CV in grado di farla scattare da 0 a 100 km/h in circa 4 secondi e di spingerla alla soglia dei 300 km/h, veniva assemblata con metodi artigianali che si tradussero in un prezzo di listino troppo alto, in rapporto al posizionamento delle rivali di marchi più blasonati come Ferrari e Lamborghini. Così la produzione, iniziata nel 1991, si esaurì nel 1994 dopo appena dieci esemplari. 

Anche la Nissan R390 GT1 è stata prodotta in un paio di versioni a uso stradale con la sola finalità di ottenere la fiche omologativa per il modello da corsa, con il quale la casa giapponese puntava a vincere la 24 Ore di Le Mans del 1997. In configurazione stradale il motore V8, ereditato da quello della Nissan R90 protagonista del Campionato del mondo sport prototipi 1990, forniva una potenza superiore ai 560 CV, consentendo a questa “belva” giapponese a coda lunga di archiviare la pratica dello “0-100” in 3,8 secondi e di toccare i 330 km/h.

Costruita tra il 1997 e il 1998 in 22 esemplari, è la versione omologata per uso su strada della Porsche 911 GT1 che nel 1998 regalò alla casa di Zuffenhausen la 16ª vittoria assoluta alla 24 Ore di Le Mans. Il motore, un 3.2 a sei cilindri contrapposti raffreddato a liquido, fu depotenziato da 600 a 544 CV per rispettare le normative antinquinamento europee allora vigenti. Pur con quasi 60 cavalli in meno, le prestazioni rimanevano eccezionali, con uno scatto da 0 a 100 km/h “bruciato” in 3,5 secondi e una velocità massima limitata elettronicamente a 310 km/h (contro i 330 km/h della vettura da competizione).

Motore da F1, carrozzeria disegnata dal vento e una guida così rude che prometteva di mettere in difficoltà persino i piloti più smaliziati: che auto sensazionale, sarebbe stata la Yamaha OX99-11, se solo avesse visto le luci della catena di montaggio… Questa hypercar, la cui produzione non andò mai oltre l’unico esemplare costruito nel 1992 a causa di una congiuntura economica e industriale sfavorevole, è mossa dal 3.5 V12 che la casa nipponica aveva costruito per la BT60Y con cui il team Brabham affrontò le stagioni 1991 e 1992 del campionato di Formula 1. La potenza massima di 400 CV si raggiunge solo avvicinandosi alla zona rossa del contagiri, che è a quota 10.000, e si gestisce attraverso un granitico cambio manuale a sei marce. Le prestazioni? Circa 350 km/h e 3,2 secondi per passare da 0 a 100 km/h.