La proposta di Bruxelles di ammorbidire il Green Deal (qui per saperne di più), facendo del 2035 non più un muro contro cui l’industria automobilistica rischiava di andare a sbattere, ma un filtro attraverso il quale riusciranno a passare anche i motori a combustione, ha cambiato le regole del gioco. Lo spazio concesso agli e-fuel, ai biocarburanti e alle auto ibride plug-in premia chi ha creduto in questo tipo di auto, mettendo allo stesso tempo in una posizione di svantaggio che in passato ha scommesso sull’elettrico a tutti i costi.
L’introduzione della nuova categoria per le auto elettriche di piccole dimensioni (sotto i 4,2 metri), che portano benefici ai costruttori con i “super crediti” che consentono di compensare i limiti di emissioni (ogni e-car venduta vale 1,3 crediti invece di 1), dovrebbe stimolare il mercato a produrre EV più economiche ed accessibili. Vediamo chi è messo meglio in quest'ottica e chi peggio.

L’ex ceo Luca de Meo è stato uno dei principali promotori dell’auto piccola, elettrica ed europea e si è già portata avanti, mentre il successore François Prevost ha proposto l’idea dei crediti di emissioni per questo genere di vetture. Con la Renault 5 e la Twingo, entrambe sotto ai 4,2 metri di lunghezza, alimentate unicamente a batteria e prodotte in Europa, la casa francese ha già due modelli pronti sul mercato e altri potrebbero arrivare a breve (per esempio la Dacia Hipster). Il gruppo francese è in prima fila per diventare il punto di riferimento della mobilità urbana accessibile in Europa.

A differenza di altri concorrenti, che avevano annunciato date di scadenza per i motori termici, la BMW ha mantenuto un approccio flessibile, sviluppando da un lato la nuova architettura elettrica Neue Klasse, ma senza interrompere lo sviluppo delle piattaforme in grado di ospitare anche i motori tradizionali. Questa agilità dovrebbe permetterle di adattarsi al target del 90% con costi minimi, garantendo profitti maggiori rispetto a chi ha dovuto cambiare i piani in corsa.

L’inclusione dei carburanti sintetici è essenziale per questi costruttori che potranno ancora produrre modelli legati alla loro tradizione. Il target del 90% permette a questi marchi di vendere auto termiche “compensate” dall’uso di materiali verdi (acciaio green) e biocarburanti: su questo genere di vetture, anche aumenti importanti di prezzo (compreso eventualmente per fare il pieno di e-fuel) può passare in secondo piano di fronte a clienti dalle altissime possibilità di spesa. Mentre le due case italiane hanno guardato all’elettrico, la Porsche si era lanciata a capofitto, salvo poi fare retromarcia: tuttavia la possibilità di continuare a offrire auto termiche farà sicuramente contenti i suoi clienti.

La Toyota, e anche se in misura minore quasi tutte le aziende del Sol Levante, non ha mai accettato il passaggio completo all’elettrico, continuando a investire nella tecnologia ibrida, di cui la Toyota è stata la prima a credere con convinzione. Ad essa, ha affiancato l’idrogeno, prima ancora che l’elettrico puro. Una strategia multi-energia che ha pagato: la Toyota non sarà costretta a investire tanto sull’elettrico (dove è in ritardo rispetto ad altri costruttori) e la sua gamma ibrida full e plug-in resterà un riferimento in fatto di efficienza. Sorridono anche la Mazda (che vede riconosciuti i suoi motori rotativi come range extender), la Honda e la Nissan, i cui sistemi ibridi avanzati non sono più tecnologie “di passaggio” ma soluzioni di lungo periodo.

Insieme alla Renault, il gruppo Stellantis è stato uno dei maggiori promotori delle e-car: all’interno dell’azienda ci sono marchi che hanno scritto la storia del segmento B in Europa (Fiat, Peugeot, Citroën, Opel) e potenzialmente diversi modelli sono pronti beneficiare dei vantaggi della nuova categoria (anche se alcuni, come la “serba” Fiat Grande Panda, sono prodotti al di fuori della Comunità Europea). Tuttavia l’azienda è stata un po’ critica sulla proposta della Commissione, affermando che non riesca ad affrontare in modo significativo i problemi del settore: Stellantis avrebbe voluto che i vantaggi delle e-car fossero validi non solo per le elettriche.

Il colosso di Wolfsburg, nel quale pur convivono diverse anime, ha ritenuto valida la proposta di Bruxelles. Il gruppo ha investito miliardi in software e batterie, senza però sfondare veramente con la gamma ID., che ora fa un passo indietro e si abbinerà a nomi conosciuti come ID. Golf e ID. Polo. Parallelamente la VW potrà prolungare la carriera di modelli di grande successo come la Golf e la Tiguan senza stravolgerli, ma puntando sull’ibrido per finanziare la transizione elettrica. Con la T-Roc arriverà anche il primo motore full hybrid: in ritardo rispetto ai concorrenti (leggi Toyota), ma in tempo per il 2035.

La Mercedes aveva sposato la strategia del solo elettrico, salvo poi tornare sui suoi passi quando sono apparse le prime crepe. La soluzione dell’ibrido plug-in di lusso può soddisfare i clienti che dalle auto con la stella pretendono un’autonomia che non imponga soste frequenti. Di contro la casa tedesca non potrà contare sulle e-car, che favoriranno maggiormente i costruttori generalisti rispetto a quelli premium.

I due costruttori coreani, che fanno parte dello stesso gruppo, sono entrambi forti nell’elettrico, ma hanno continuato anche a produrre eccellenti auto ibride. La sfida per loro sarà localizzare maggiormente la produzione in Europa, per non restare esclusi dai nuovi incentivi “made in EU” destinati alle vetture compatte.

Con l’ammorbidimento dei limiti di CO2 e l’apertura ai carburanti sintetici, la Tesla dovrà ora competere a livello di emissioni anche con auto termiche meno care e con ibridi più versatili. Il marchio di Elon Musk ha anche abbandonato il progetto della “Model 2”, preferendo investire sui robotaxi. Inoltre potrebbe pesare sui bilanci la possibile fine del mercato dei crediti di CO2, che i costruttori potranno compensare in altri modi, dai quali la casa americana incassava miliardi.

Sono state tra le prime dichiarare l’abbandono totale del motore termico (la Volvo entro il 2030, la Jaguar ancora prima). Così la Volvo si ritrova con una gamma che ormai è andata in direzione dell’elettrico, pur avendo ancora a disposizione veicoli ibridi. Ancora peggiore la situazione della Jaguar, che ha fatto un vero “all-in” sulla mobilità a batteria, interrompendo del tutto la produzione precedente e cambiando radicalmente l’immagine del marchio, in attesa della nuova gran turismo che inaugurerà il nuovo corso. Se il mercato ora chiederà più ibridi e meno elettrico puro, questi brand rischiano di avere una gamma troppo rigida e limitata rispetto alla concorrenza.

In Europa la Ford ha man mano eliminato alcuni dei suoi modelli più venduti a partire dalla Mondeo, passando per la Fiesta, per finire con la recente interruzione della produzione della Focus. Nei piani dell’obvale blu, tutti questi modelli avrebbero dovuto essere sostituiti da crossover elettriche, per esempio l’Explorer e la Capri. Per cambiare strategia, la casa americana ha bussato alla porta della Renault, di cui sfrutterà la piattaforma AmpR per produrre una citycar e una crossover compatta, in arrivo non prima del 2028. L’anno prima arriverà la Bronco, una crossover ibrida che nei piani dell’azienda dovrebbe sostituire la Focus. L’impressione è comunque quella di una continua rincorsa.

Sebbene le case cinesi producano ottime auto elettriche piccole ed economiche, sulle quali gravano comunque i dazi già imposti dall’Unione Europea, le nuove regole sono state scritte anche per fermare l’arrivo di queste vetture e dare più forza ai marchi europei. I super-crediti legati alla produzione locale e le restrizioni sugli aiuti di stato solo per veicoli prodotti in UE sono barriere protezionistiche pesanti. I costruttori cinesi potrebbero essere costretti a investire ancora più massicciamente in fabbriche sul suolo europeo: su vetture da margine di profitto più ridotto, ciò potrebbe portare a una perdita di competitività.




































































