Introdotti a partire dal 2016 per raccogliere l’eredità della longeva famiglia di motori Fire, i propulsori della serie FireFly (codice progetto GSE, Global Small Engine) rappresentano il cuore della produzione motoristica dell’allora gruppo FCA (poi confluito in Stellantis) nel segmento delle vetture compatte per il mercato europeo. Nati dall’esigenza di migliorare l’efficienza e ridurre le emissioni, questi motori sono stati progettati con una spiccata modularità, fungendo da base sia per le versioni puramente a benzina che per le più moderne applicazioni ibride. Tutte le unità hanno una disposizione dei cilindri in linea e con un monoblocco di alluminio: sono progettati per essere montati in modo trasversale e quindi per adattarsi a vetture a trazione anteriore.

Questa unità rappresenta la versione d’accesso al mondo dei FireFly sovralimentati. Si tratta di un motore a 3 cilindri in linea di 999 cc, con un’architettura che include il basamento in lega d’alluminio per contenere il peso. La distribuzione è a singolo albero a camme in testa con due valvole per cilindro e comando a catena, una scelta tecnica mirata a ridurre la manutenzione. Dotato di turbocompressore a bassa inerzia e iniezione diretta di benzina, sviluppa 100 o 120 CV: la coppia massima resta sempre di 190 Nm. Questa caratteristica gli conferisce una notevole prontezza di risposta e un’erogazione fluida, rendendolo adatto sia all’uso urbano che extraurbano. Lo si trova su:

Alzando l’asticella delle prestazioni, troviamo la variante a 4 cilindri di 1.332 cc. Derivato direttamente dal 1.0, ne condivide l’architettura modulare, con un cilindro aggiunto e l’alesaggio invariato. È stato proposto in diversi livelli di potenza, da 130 a 180 CV, con coppia da 270 a 320 Nm Nm. Spesso abbinato al cambio automatico a doppia frizione, è il motore che ha equipaggiato le versioni di punta di diversi modelli.
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Questa è la versione aspirata del 3 cilindri di 999 cc, progettata specificamente per l’ibridazione leggera. Il motore termico eroga 70 CV e 92 Nm di coppia ed è accoppiato a un sistema mild hybrid a 12 volt. Il cuore del sistema è un Belt-integrated Starter Generator (BSG), ovvero un motogeneratore elettrico collegato al motore tramite la cinghia dei servizi. Questo dispositivo recupera energia durante le fasi di frenata e decelerazione, immagazzinandola in una piccola batteria al litio. L’energia accumulata viene poi utilizzata per supportare il motore termico nelle fasi di accelerazione, per riavviare il motore in modo rapido e silenzioso dopo uno stop e per consentire la funzione di veleggiamento a motore spento al di sotto dei 30 km/h. La sua natura è prettamente votata al contenimento dei consumi e delle emissioni in ambito urbano. Lo si trova su:

Partendo dal 4 cilindri di 1.332 cc, le Jeep Renegade e Compass diventano anche ibride plug-in, ottenendo allo stesso tempo la trazione integrale. Al T4 (da 130 o 180 CV) viene abbinata un’unità elettrica da 60 CV, che muove le ruote posteriori: in base alla potenza del motore termico, il sistema genera 190 o 240 CV. La batteria agli ioni di litio, a 400 volt e di 11,4 kWh, consente un’autonomia di circa 50 km e si ricarica da una presa domestica in circa 3 ore. C’è poi una seconda unità elettrica, da 20 CV e collegata al 1.3, che recupera energia e fa da motorino di avviamento al propulsore termico. Lo si trova su:
L’ultima evoluzione della famiglia è il 4 cilindri turbo di 1.5 litri, abbinato a un sistema ibrido leggero più evoluto a 48 volt. Il propulsore termico eroga 130 CV e 240 Nm di coppia. È supportato da un motogeneratore elettrico da 20 CV integrato direttamente nel cambio automatico a doppia frizione a 7 rapporti. A differenza del sistema a 12 V dell’N3, questa architettura permette di effettuare manovre, procedere in coda a bassa velocità e parcheggiare in modalità 100% elettrica. Il sistema recupera energia in frenata in modo più efficace e fornisce un supporto più consistente al motore a benzina, migliorando le prestazioni e riducendo i consumi. Lo si trova su:

Sebbene meno problematici rispetto a motori contemporanei di altri marchi, i FireFly non sono risultati esenti da alcune criticità. Le versioni turbo (1.0 T3 e 1.3 T4) sono quelle che hanno manifestato il maggior numero di segnalazioni. Tra le problematiche più ricorrenti vi è un’usura precoce del turbo su alcuni esemplari, che può portare a cali di potenza e fumosità. Si sono registrati anche casi di consumo anomalo di olio e, più raramente, problemi legati al sistema di iniezione diretta o alla catena di distribuzione. Sul 1.3 T4 l’utilizzo di un olio non conforme alle specifiche o intervalli di sostituzione troppo prolungati possono portare a malfunzionamenti del modulo stesso, con costi di ripristino significativi. Per quanto riguarda le versioni ibride, il 1.0 aspirato si è dimostrato meccanicamente molto robusto; le poche noie segnalate sono di natura elettrica e riguardano principalmente il corretto funzionamento del sistema BSG o della batteria ausiliaria. Il più complesso 1.5 Hybrid a 48V, essendo più recente, ha un quadro statistico meno definito, ma la sua maggiore sofisticazione lo rende potenzialmente più esposto a problemi di natura elettronica legati alla gestione del sistema ibrido e alla sua integrazione con il cambio a doppia frizione.
Acquistare un’auto usata con motore FireFly può essere una buona scelta: questi propulsori moderni offrono efficienza e buone prestazioni. Tuttavia, è importante prestare la massima attenzione alla manutenzione pregressa, verificando il libretto tagliandi e l’uso di oli specifici, fondamentali per la longevità di componenti delicati come, talvolta soggetta ad usura ad alti chilometraggi.









