Il principio dei freni a tamburo è semplice ma efficace: all’interno di un tamburo metallico, collegato alla ruota, si trovano due ganasce rivestite di materiale d’attrito. Quando il conducente preme il pedale del freno, la pressione idraulica spinge le ganasce contro la parete interna del tamburo, generando un attrito che rallenta la rotazione della ruota e quindi l’auto. Al rilascio del pedale, le molle riportano le ganasce alla loro posizione di riposo. È un sistema “chiuso”, nel senso che tutto avviene all’interno del tamburo stesso: una soluzione compatta, economica e piuttosto duratura, anche se non priva di compromessi.

Rispetto ai freni a disco, quelli a tamburo sono più semplici e meno costosi da produrre. Nei dischi, le pastiglie mordono un disco metallico esposto all’aria, che si raffredda rapidamente: questo garantisce una frenata più pronta e costante, anche dopo un uso intenso. Nei tamburi, invece, il calore rimane più “intrappolato” all’interno, e con l’aumentare della temperatura le prestazioni possono calare (è il cosiddetto “fading”). Tuttavia, per le ruote posteriori di molte utilitarie, dove la potenza frenante richiesta è minore, il tamburo resta più che sufficiente. È anche più facile da integrare con il freno a mano meccanico, un vantaggio pratico per contenere costi e complessità.

Il tamburo non ha solo il pregio del prezzo: è un sistema che richiede poca manutenzione, le ganasce si consumano lentamente e il tutto resta protetto da polvere e sporcizia. In marcia, questo si traduce in un funzionamento silenzioso e regolare. Inoltre, nei veicoli elettrici e ibridi, dove il recupero dell’energia in frenata riduce l’usura dei freni, i tamburi posteriori stanno tornando popolari: durano a lungo e non si ossidano facilmente, problema tipico dei dischi poco usati.
Foto: Akebono









