Nonostante il record del 2014, in Italia la percentuale delle immatricolazioni “aziendali” sul totale continua a risultare notevolmente inferiore rispetto a quella degli altri grandi Paesi europei: il nostro 37,4%, infatti, appare basso se comparato al 52,4% dell’Inghilterra, al 44,5% della Francia e al 42,5% della Spagna. Spiegazioni? Le auto aziendali in quei Paesi sono più agevolate dalla tassazione vigente. In Italia, invece, a parte i casi di utilizzo strumentale all’attività di impresa, se la vettura viene impiegata per lavoro e lasciata al dipendente anche per il tempo libero, a fronte di un’Iva detraibile solo al 40% è prevista una deducibilità massima di 18.076 euro, con una quota ammortizzabile del 20% e un costo ammortizzabile di 3.600 euro. Non bastasse, a pesare ci sono pure i recenti aumenti dell’Ipt (Imposta di trascrizione provinciale), accompagnati da discrepanze notevoli a seconda dell’area del Paese: una situazione che ha indotto le società con flotte importanti a immatricolare le auto in province in cui tale imposta è più leggera. Oltre a essere meno favorevole, per le aziende e per i professionisti italiani la fiscalità per l’auto è anche estremamente più complicata: non vi sono più formule di acquisto avvantaggiate dal Fisco, tutte oggi hanno un trattamento è più o meno simile. Alla luce di questa realtà, ormai consolidata, si è assistito negli ultimi anni a un vero cambio di filosofia nella gestione delle flotte. Oggi sono i consumi delle auto, ancor prima della scelta della marca o della valutazione del trattamento fiscale, a guidare i fleet manager nella composizione del loro parco: una recente ricerca ha evidenziato come, dopo le modifiche alla normativa in vigore dal 2013, il trattamento fiscale costituisca un fattore importante di scelta nella formula d’acquisto delle auto “business” solo per il 4% delle aziende, mentre in precedenza lo era per il 40%.